Baleari 2011 – Prima Parte: Ibiza
150, 115, 130. No, non sono le mie misure. Sono i chilometri percorsi nei primi tre giorni nella più movimentata isola delle baleari e forse del mediterraneo.
Atterrati alle 21 del 15 agosto Giovanna, Antonio (Principe del Male), Francesco ed io ci ritroviamo alle prese con il primo spostamento che si effettua appena arrivati in un luogo: raggiungere l’hotel.
Purtroppo ci ritroviamo anche alle prese con l’atteggiamento poco ospitale dei conducenti di autobus (“scusi sa se già è partito l’ultimo 24?” “non sono il centro informazioni”) e taxi che ritroveremo poi in qualunque nativo ibizeco fatta eccezione per due o tre persone. Non avevamo tenuto di conto che avremmo dovuto fronteggiare anche un'altra spinosa questione: la grandezza dell’isola.
Alle 21 è partito l’ultimo autobus e per raggiungere la località Es Canar 40 minuti di taxi ci dissanguano per la serie Benvenuti a IBIZA! Noleggiare un’auto non è una buona soluzione per mille motivi, primo dei quali perdita di indipendenza di ciascuno e poi c’è la nascita del problema parcheggio che sinceramente lascerei volentieri alla vita di tutti i giorni e non mi porterei in vacanza.
Arrivati ad Es Canar, grazioso luogo turistico per famigliole, anziani e persone che non hanno trovato posto altrove sull’isola come noi, incontriamo Ana gentilissima ibizeca che ci da il benvenuto, ci spiega le regole dell’ostello, gli orari della colazione e da qualche dritta su posti e spostamenti.
Trainare una valigia dall’aeroporto al taxi e dal taxi alla reception ci ha in effetti un po’ stancati e così dopo aver dato uno sguardo alle camere e posate le valigie scendiamo a farci un giro: tra tutti i centri di Ibiza Es Canar resterà quello più accogliente e tra i più carini. Molti sono i ristoranti, c’è anche un bar che ogni sera ospita concorrenti di X factor che si propongono quali Westlife, Destiny’s Child, Lady Gaga etc…
Dopo una prima avanscoperta per il nolo degli scooter decidiamo di mangiare qualcosa: finiremo nel ristorante omonimo e attiguo al nostro ostello: La perla. Qui un cameriere svanisce nel nulla, il gestore interviene sudando e trotterellando a vuoto: qualcosa su quest’isola non funziona.
Mangeremo zuppa di pesce e calamari fritti. Tutto buono, molto easy ma non proprio economico.
Inizia il primo vero giorno di vacanza e di buona lena (mai più scenderemo così presto) dopo la colazione continentale di Ana ci dirigiamo verso chi ci noleggerà gli scooter. 50, 40 € al giorno per un 50ino. Prezzi doppi e tripli rispetto alle isole greche. La cosa strana è che il prezzo di nolo di un 125 cc è uguale a quello di un 50ino. Qualcosa su quest’isola non funziona. Alla fine forti del numero di giorni chiudiamo a poco più di 30 € per un 125. Però a essere sinceri un gran bel 125: comodo e per fortuna dai ridotti consumi. Già pronti con teli e creme al seguito iniziamo il nostro giro dell’isola: 30 km per arrivare a Les salines e alla spiaggia di Es cavallet (mare agitato, spiaggia e riva sporche di alghe). L’impatto con il mare delle baleari non è dei migliori. Dopo es cavallet raggiungiamo la spiaggia les salines, poi cala des jondal al cui mare arriviamo passando per un bar molto (troppo) cool. Ci fermeremo a Sa Caleta, piccola cala di rocce rosse. Qui le prime avvisaglie di scottatura da motorino per Francesco e prime manifestazioni idrofiliche di Giovanna. A Sa Caleta c’è un piccolo ristorantino, molto affollato che sembra essere di quei posti in cui ti siedi, ti abboffi di pesce e paghi poco. Guardiamo il menu e scopriamo che non è così, non sarà così in nessun altro posto dell’isola. Prenderemo paella di mare per 2. Ma siamo 4. Per fortuna le porzioni sono abbondanti e il pesce fresco. Tornando ci fermiamo all’ultima spiaggia della costa Sud ancora inesplorata ma che sembra la più bella: Platja des codolar.
Una lunga spiaggia di sassi con un mare azzurrissimo ma sassoso e pieno di alghe, almeno oggi.
Mentre Francesco trova ristoro sotto un ombrellone al bar noi abbiamo quei minuti di relax sulla spiaggia che valgono ore e che solo il tardo pomeriggio sa regalare. Il tragitto di ritorno è lungo ma lo spezziamo fermandoci a Elvissa. Prima di arrivarci passiamo per la zona di Platja d’en Bossa. Da tutti sconsigliata perché piena di italiani. E in effetti tra palazzi che sembrano le vele della 167, tamarri scalzi e cicciotti per la strada sembra di stare a licola. Però tutto è moto festoso. Passiamo dinanzi al lido-discoteca Bora Bora e alla spiaggia di ses figueretes. Arrivati a Dalt Villa (la città vecchia) che è situata sul promontorio accanto al porto di Elvissa pensavamo di fare i furbi e parcheggiare gli scooter su in cima. Purtroppo dal di dietro delle mura non si entra in città quindi parcheggiamo giù non lontano dal porto e iniziamo a girare. Qui è molto carino ed è il vero centro dell’isola e così inizio a cantare: ma come è bello qui ma come è grande qui mi piace troppo ma… non è Es canar!
La parte esterna alle mura è costituita da una maglia di strade con negozi e piccoli bar. La parte interna alle mura, sicuramente più rilevante dal punto di vista turistico, era popolato solo nella via principale di 400 metri: una ventina di ristoranti e negozietti per lo più a conduzione gaya. Oltre tutto questo solo viuzze tremende arroccate su scale sghembe.
Dopo la nostra bella mezz’ora di motorino arriviamo a Es Canar. Un tuffo in piscina e poi a prepararsi per uscire. L’idea è quella di tornare a Platja d’en Bossa tra i tamarielli a fare un giro. Ci fermeremo invece da KFC (Kentucky Fried Chicken) e dopo un giro a Dalt Villa per vederla di sera torneremo a Es Canar
Il 17 agosto per lo più ustionati dal sole non protetto del motorino del giorno prima cambiamo zona e andiamo a est: spiaggia di figueral in zona San Carlos Peralta dalla impegnativa discesa a mare pensandola come salita.
La spiaggia è grande e il mare azzurro, finora il migliore di tutta l’isola. Parcheggiato Francesco fumante di rabbia e scottatura sotto la montagna che faceva ombra avremmo avuto il più bel riposo di Ibiza se non fosse per 5 fumatissimi spagnoli che hanno un i-pod amplificato con una selezionatissima play-list di musica house composta da due tracce.
Lasciata la spiaggia quando praticamente è andato via del tutto il sole per via della montagna raggiungiamo un attimo Portinax, piccolissima baia a nord dell’isola e pensiamo “non abbiamo pranzato, potremmo fare un aperitivo”. Aperitivo, questo sconosciuto. Il primo bar ha la cucina chiusa e non sgancia neanche un pacchetto di patatine e una birra. Il secondo ristoratore dice di aspettare le 7 che apra la cucina per della semplice crema Allioli (maionese all’aglio). Fatte le 7 e 10 prendiamo le nostre birre e la nostra crema Allioli. Impossibile il bis di crema perché “la cucina bau bau” , con una scusa incomprensibile ed evidentemente improbabile il ristoratore anch’egli trotterellante senza scopo non ci porta altro pane. Qualcosa su quest’isola non funziona.
Molto semplice il ritorno a Es Canar: qui ci stremo per poco giusto il tempo dello shampoo quotidiano di Giovanna e poi andiamo a Platja d’En bossa cercando un po’ di movimento: sono le 10 e mezza di sera e Platja d’En Bossa dorme. Ci fermiamo in quello che si chiama bar di tapas, cioè bar che hanno anche la cucina e che servono piccole porzioni di cibo chiamate tapas che servono ad accompagnare la birra o la sangria. Prendiamo tra le altre cose il pollo all’aglio, l’allioli e calamari fritti.
Al ritorno facciamo un giro a Dalt Villa che è di strada e scopriamo la yogurteria llaollao, un pirulicchio di yogurt gelato con la possibilità di aggiungerci 3 “topping”.
18 Agosto. Ci rimane solo una parte di isola da vedere: quella settentrionale. Arriviamo cosi a San Miguel dopo la sostanziosa colazione continentale di Ana. A San Miguel c’è un lago sotterraneo e una cascata sotterranea che dalle foto sembrano essere illuminati da luci colorate al neon. L’entrata costa troppo per i nostri gusti ma soprattutto è un po’ tardino e vorremmo andare a mare. La baia di San Miguel è tremendamente piccola e affollata, così subito dopo aver messo il piede in spiaggia lo ritiriamo senza neanche stendere il telo.
Ci dirigiamo verso il secondo centro urbano per grandezza dell’isola: Sant’Antony de Portmary. Prima di arrivarci sostiamo per un ricco pranzo presso una gastronomia locale in Sant Gertrude proprio al centro dell’isola: qui prenderemo della paella mista e una insalatona buonissima. Giovanna amante della carne prenderà delle polpette. Abbandonato il centro dell’isola arriviamo in pochi minuti a Sant’Antony: la citta pare poco popolata. La spiaggetta poco lontano dal porto è popolata da soli inglesi “code di merluzzo”, bianchi come non mai e bevitori anche in acqua. L’ombrellaio e la sua tipica flemma ibizeca mi irrita non poco. La spiaggia è troppo popolata, l’ombra non basta per noi quattro e così dopo aver osservato il risveglio della spiaggia per un’onda 20 cm più alta e dopo aver assistito a un acchiappo da spiaggia tra uno spagnolo e una inglese decidiamo di andarcene.
Ci ritiriamo a Es Canar dove arriverà di li a breve Marina partita questo pomeriggio da Barcellona.
Marina arriva alle 8 circa e dopo i saluti iniziali ci informiamo per scooter o bicicletta. Stasera di nuovo Elvissa per cena a El olivo: Francesco accompagna Marina a Sant’Eularia e poi torna a prendermi a Es Canar. Ci ritroveremo tutti e 5 a Dalt Villa. Sono passate le 22 e tutti i ristoranti sono pieni così proviamo a prenotare da El Olivo. Entriamo nel piccolo ristorantino mentre nessuno dei camerieri trotterelli ci fila di pezza. Così usciti dal locale proviamo a chiedere fuori, quello che doveva essere il capo dei camerieri trotterellante anch’egli ci dice che tutto è pieno e che c’è da aspettare due ore. Io quasi accetto ma gli dico che devo chiedere agli altri: nel giro di 3 minuti dopo una fugace occhiata agli altri ristoranti tutti pieni zeppi ci sentiamo rispondere dal capo dei camerieri: “non è più possibile, la cucina… bau bau”. Qualcosa su quest’isola non funziona. Finiremo a mangiare sulle scale. Detto così suona male invece ceniamo in un graziosissimo ristorantino i cui tavoli erano su delle scalette. Io prenderò branzino al rosmarino, Marina la sogliola, Giovanna calamari come al solito. Anche qui manco a dirlo camerieri trotterellano a vacante intorno a noi e i piatti ci arriveranno dopo un’ora e mezza. Poco male perché Marina ci intrattiene con i suoi racconti. I piatti sono davvero sopraffini e sono impreziositi dai contorni che li accompagnano, il pesce è freschissimo. Finita la cena giriamo un po’ giù al porto tra i baretti insopportabili e poi torniamo e es canar.
Il giorno 19 è difatti l’ultimo giorno pieno ad Ibiza, l’abbiamo già vista tutta allora scegliamo una meta da far vedere a Marina: la zona sud delle Salines. Marina noleggia una bicicletta, scelta che risulterà essere non proprio la migliore visto che partita con largo anticipo sarà superata da noi poco dopo sant’Eularia ma soprattutto quando noi già saremo sulla spiaggia la vedrà protagonista di una caduta tettosa. La raggiungeremo così a Platja d’en Bossa, vera bolgia piena zeppa di gente varia. Capiteremo davanti al Bora Bora dove una bottiglia d’acqua mi costerà 5 euro. Quando andiamo via diamo appuntamento a Marina a Elvissa, dove ha lasciato la bici. Nel frattempo noi ci fermiamo al KFC li vicino :P.
Partiti da Elvissa noi sullo scooter e Marina sulla bici capiamo che ci impiegheremmo più di un’ora cosi e soprattutto marina potrebbe svenire già fuori il Pacha. Io nomino la possibilità di una corda per trainarla. Francesco pensa alla catene antifurto che abbiamo nel sedile. Ci Fermiamo, la catena è corta, così la uniamo a quella della bici e creiamo un traino. Piano piano ci avviamo: con la paura che Marina possa cadere e con una media di 30 km/h notiamo che il traino funziona e arriviamo ben fino a Es canar.
Un ultimo bagno in piscina e poi si esce: visitiamo l’unica città ancora da vedere, quella più vicino a noi e cioè Sant’Eularia.
Sant’Eularia è molto carina, direi anzi la più carina di tutta l’isola un lungo mare che di sera è fenomenale grazie alla vista della collina illuminata alla fine del piccolo golfo. Arrivati a Sant’Eularia si deve mangiare, Giovanna e Marina trovano un locale chiamato WOK: per un prezzo fisso pari a 12-13 € puoi mangiare tutto quello che vuoi, il buffet è prevalentemente cinese ma c’è anche del sushi, non il migliore del mondo in verità ma il pesce è buono e le fritture molto ben fatte. Manco a dirlo ci abbuffiamo e con le pance in mano ce ne andiamo un po’ a vuoto per la cittadina.
Sanremo 2010
20/2 Quinta Serata - Finale
ore 12:55 Finalmente oggi, anche se per l'ultima trasmissione, riesco a vedere il Question Time. Scopro anche del 50% di share della terza puntata con 11 milioni e 270 mila spettatori. Un megasuccesso questa edizione che pare essere iniziata, a conti fatti, ieri quando le canzoni da ripescate sono state riascoltate e sono migliorate molto al secondo ascolto.
ore 16:50 Ho riascoltato molte canzoni, Cristicchi, Grandi, Arisa, Scanu. Non so proprio pronosticare una vittoria, ovviamente mi auguro Scanu o Grandi ma visto lo scandalo di ieri col Maiello non mi meraviglierei se vincesse il cacofonico.
ore 20:43 Inizia con Daniel Ezrelov fuori dal Teatro Ariston con circa mezz'ora di anticipo il Festival! Ulitma serata ricca di canzoni e ospiti, aspettiamo ovviamente Mary J Blige.
Dopo un inizio che prevede una folla di bambini sul palco entra in scena Valerio notevole come pochi. Segue Noemi che canta benissimo. Dopo una piccola pausa con Solfrizzi e il cast di Tutti pazzi per amore ci tocca Mengoni... uno strazio per le orecchie... per fortuna dura poco. La Clerici di tra i primo o quasi. Siccome toccato il fondo si può sempre scavare arriva Povia.
E' il momento di un altro fermo: i ballerini di Michael Jackson (di quella che doveva essere la sua tourne) ballano sue canzoni dopo una clip che omaggia il defunto re del pop. La gara ri-inizia con Malika Ayane seguita da Irene Grandi, con la canzone per me la meritevole di vittoria. Arriva Pupo col nano e il principe, ovviamente tra i fischi! Su questa canzone riesco a cantare a perfezione Somewhere over the rainbow di Judy Garland. Segue Irene Fornaciari. Un dubbio mi sorge sull'acuto finale: il pre-rec!!!
E' il momento di Lorella Cuccarini, nuda con una sola chitarra indosso si esibisce su di un megaschermo bianco che proietta effetti speciali e le sue ombre. Canta sempre meglio ma la sua rovina è Tomassini: le fa cantare e ballare sempre e solo canzoni di Madonna!
La gara ricomincia con con Simone Cristicchi ma termina subito con Arisa, deliziosa. Prima della reclame c'è un omaggio dalla città di Sanremo al Festival della Rai e ai suo tecnici. Al ritorno mica si va al sodo! Si cincischia con i bambini del programma canoro della Clerici Ti lascio una canzone. Più bravi quelli di Gerry Scotti o no!? Finalmente arriva MAry J BLige che canta dal vivo (mica come una JLo qualsiasi) Each Tear che doveva essere un duetto con Tiziano Ferro a casa con una laringite e che domani compie 30 anni. Mary J gli dedica in italiano tanti auguri a te. Stop al Televoto!
Al ritorno dalla reclame si esibisce Tony Maiello e poi si elencano i 7 esclusi: Povia, Arisa, Irene Grandi, Simone Cristicchi, Irene Fornaciari, Malika Ayane e Noemi. Che scandalo... Resta Valerio Scanu in finale ma soprattutto ci vanno Mengoni e Pupooooooooo. Le contestazioni sono fortissime e l'orchestra si ribella all'esclusione di Malika Ayane, Cristicchi e Noemi. Io mi dico sinceramente dispiaciuto per l'esclusione di Irene Grandi la cui canzone per me avrebbe potuto e dovuto vincere. C'è una pausa della gara e sul palco dell'Ariston sale Maurizio Costanzo che conduce un mini talk show con i dipendenti Fiat di Termini Imerese. Anche durante l'intervento di Bersani edel ministro Scajola forti contestazioni da parte del pubblico dell'Ariston.
Si torna alla gara e si inizia con Mengoni e in rapida successione Valerio Scanu e Pupo. C'è un femro con la banda dei bersaglieri ah no sono Carabinienieri. Piuttosto inutile.
Al ritorno dalla pubblicità i verdetti. Malika Ayane vince il premio della critica Mia Martini (ieri toccato a Nina Zilli). In pochi minuti e senza alcuna suspance si arriva al verdetto definitivo: il 60esimo festival della canzone italiana è vinto da VALERIO SCANU per mia immensa gioia. Si esibisce ma non da cenni evidenti di gioia... Per lui è una bella rivincita: non vinse Amici e stasera è una spanna avanti a tutti, sicuramente a quelli che lo precedono sul podio (inaccettabili).
Il festival si conclude e questi commenti pure. Domani magari c'è quella bellissima edizione di domenica in con i giornalisti cattivi... speriamo! Notte
19/2 Quarta Serata
ore 20:22 E' ufficiale oramai che il festival di quest'anno è un successo, la Clerici è arrivata li dove neanche la Carrà e la Ventura sono approdate. Certo sul tipo di conduzione un pò soporifera si potrebbe discutere unitamente alla mancanza di grossi colpi di scena sul palco. Stasera la truzza Jlo, sono proprio curioso di vedere com'è diventata...
ore 21:12 Bellissimo inizio con Bob Sinclair con la sua unica canzone bella, prova invano a trasformare l'Ariston in discoteca. Ecco ci mancava il comico scemo quest'anno... ieri ci pensavo... Però ha fatto ridere su! Con nonchalance la Clerici si mette in posa inclinandosi di spalle sporgendosi il di dietro e chiedendo al direttore d'orchestra "sono un pò Jennifer Lopez?" e scoppia l'ilarità generale.
Inizia la gara con Malika Ayane che canta senza una sola sbavatura, si accompagna con la prima ballerina della Scala, segue Cristicchi con un coro di monatori. Irene Grandi con Marco Cocci noto per aver interpretato il fricchettone figlio di papà in Ovosodo interpretano La cometa di Halley che cresce a ogni ascolto. Irene Fornaciari e i Nomadi portano con se Mousse T e Souzie. Stasera tutti bravi nell'esecuzione dei pezzi. Anche Irene Fornaciari canta benissimo stasera. Purtroppo arriva Mengoni, stridulo come pochi, che orrore. Chiude la prima parte della gara dei Big tra i fischi Pupo con il Savoia. Il pubblico nessuno lo ferma. Neanche Lippi, anzi gli gridano contro "Cassano Cassano!".
Per fortuna ci pensa la Cula JLo a far dimenticare le polemiche italiane: canta la sua nuova canzone What is love. Poi c'è l'intervista della Clerici.
Si rinizia con la gara con Valerio Scanu che si accompagna con Alessandra Amoroso anche stasera, belli e intensi. Segue Arisa con un arrangiamento anni 30 di Malamorenò, lei senza occhiali. Ruggeri con i Decibel (suo gruppo di esordio) e poi Noemi con i Kataklò. Fabrizio Moro, ancora in gara, canta con i Jarabe De Palo, ancora in vita. Riesumati insieme a DJ Jad. Ultimo speriamo anche in classifica Povia accompagnato da Marco Masini.
Dopo una pausa pubblicitaria JLo riappare e si esibisce in lip sync in un medley di sue canzoni.
Alle 23:25 inizia la gara dei giovani, Jessica Brandi che finalmente canta sul palco dopo essersi qualificata ieri senza una esibizione live. La canzone è di Valeria Rossi (quella di Tre Parole). Poi segue Tony Maiello con il Linguaggio della resa e prima della mia preferita si esibisce Luca Marino. E' il suo momento. Arriva Nina Zilli con un vestito bellissimo e una mezza cofana in testa. Incrociamo le dita.
Terminata la gara dei CCCiovani entra in scena Cristiana Capotondi vestita da Sissy per promuovere l'omonima fiction in onda chissà quando su raiuno. Prima della "reclame" la Clerici si scusa per quello che farà dopo. Mancano i Tokio Hotel e i risultati dei giovani e l'eliminazione di due big. Al ritrono dalla reclame come la chiama lei la Clerici si esibisce con Bob Sinclar inguainata in pantaloni di pelle.
L'esito della gara dei giovani è il seguente: vince Tony Maiello, scandalo. Nina Zilli prende però il premio della critica Mia Martini. Dopo varie stonature di Tony e la sceneggiata napoletana con il padre entrano i Tokio Hotel. Dopo l'ultimo (inutile) cambio d'abito della Clerici c'è l'annuncio dei 10 big che passano alla finale di domani. Elimintati Ruggeri e Moro e tra i fischi generali proseguono la gara Pupo, il principe e il tenore nano.
Domani finale con ospiti Lorella Cuccarini, Maurizio Costanzo e udite udite Mary J Blige! Notte.
18/2 Terza Serata
ore 19:18 Ammazza, anche la seconda serata è andata abbastanza bene: oltre il 43% con 10,1 milioni di telespettatori. L'auditel non riporta però l'elevata percentuale di persone che dormivano davanti alla TV accesa: l'80%
ore 21:16 Il Festivàl è iniziato da qualche minuto con un medley poco chiaro: che canzone era? Ma soprattutto: perchè? La Clerici ha un vestito lungo e si affaccia sul palco preceduta da una voce fuori campo che urla "numero sette lungo, subito".
Inizia la soporifera gara con Toto Cutugno accompagnato da una sempre più bella Belen Rodriguez. Ma forse la cosa più bella è il pianoforte glietterato. Segue Pupo (con Emanuele Filiberto e il tenore) accompagnato da Le Divas. Chi? Ah capito, sarebbero la versione femminile dei Il Divo, quartetto di pseudo-tenori bellocci. Brutta brutta la canzone... 110 mila telefonate in 10 minuti, Antonella tesoro mio di che ti stupisci: si chiamano Call Center affittati! Arriva Valerio Scanu con Alessandra Amoroso, belli e bravi. E la canzone merita. Dopo lo spot i Sonhora, che strazio! Ma dopo c'è Nino!!! Dodi Battaglia accompagna i fratelli Sonhora. Ambrogio Sparagna e Le Voci del Sud accompagnano Nino D'angelo e Maria Nazionale in nero lungo. Una esibizione da brividi, tutti i dialetti del Sud cantati sul palco dell'Ariston. E hanno scartato questa canzone ed esibizione per Mengoni... ma capite???
Si parte con l'omaggio al Festival con Elisa che sbaglia l'attacco di Luce, che voce... poi canta Canzone per te di Sergio Endrigo, una interpretazione impeccabile. Segue Ti Vorrei sollevare e Your Manifesto, brava brava. Segue Fiorella Mannoia che canta E se domani e Estate dei Negramaro. Poi entra in scena Miguel Bose e a seguire Edoardo Bennato. Canta un omaggio a Tenco, ma non so quale perché rivedevo l'esibizione di Nino D'angelo sul sito della RAI. Segue ancora un altro galeotto di sarcofago: Massimo Ranieri, prima con Io che non vivo (senza te) e poi Perdere l'amore. Si continua con Carmen Consoli che canta Mandaci una cartolina e Grazie dei fior e introduce Nilla Pizzi, oramai incapace di proferire parola ma capace di esibirsi perfettamente in Vola colomba. Entra in scena Riccardo Cocciante che canta Nel blu dipinto di blu, Se stiamo insieme, Bella e un estratto noiosissimo di Romeo e Giuletta. Renga, ultimo ospite finalmente canta La voce del silenzio e L'immensità. Chiude questa lunghissima e inutile vetrina di vecchie glorie Almeno tu nell'universo cantata da Fiorella Mannoia e Elisa.
Alle 00:20 la Clerici ricorda che c'è una gara da portare avanti, ma la prima artista Jessica Brandi è troppo giovane per esibirsi dal vivo e così mandano in onda un filmato delle prove in cui lei canta tra coristi e orchestrali in tuta e tecnici che le girano attoro. Fossi qualcuno in RAI farei saltare qualche testa per questa cosa. Il rispetto per la gare dov'è? Per venti minuti di ritardo (prevedibili viste la carne messa sul fuoco) si evita l'esibizione di un'artista? Pippo Baudo almeno rispettava gli artisti. Il secondo Giovane è Nicolas Bonazzi, Dirsi che è normale, speriamo passi. Arrivano poi la Fame di Camilla con Buio e luce, stonati, poi Tony Maiello con il Linguaggio della resa. Termina Romeus.
Passano come giovani: Jessica Brandi e Tony Maiello. Per questioni di orario tagliano breve e mostrano solo le due canzoni che passano: Valerio Scanu e .... Pupooooo!!! Che scuorno! Ecco in napoletano l'ho detto... che vergogna... tenetevi Pupo e il Savoia. Fuori l'esibizione migliore dell'intero Festival: Nino D'angelo e Maria Nazionale. Il pubblico non è daccordo e fischia su Pupo, ma anche all'annuncio della presenza di Jennifer Lopez. Tant'è... Buonanotte
17/2 Seconda Serata
ore 20:58 Scopro che la serata-colpo-di-sonno di ieri sera è andata abbastanza bene in termini di share: 45%. Il calo fisiologico ci sarà ovviamente, ma penso che stavolta sarà più pesante: stasera si apre con le ballerine del Moulin Rouge, ci sarà Rania di Giordania e l'attrice di Avatar come ospiti (wow). Saranno eliminati 2 tra i 12 big rimasti in gara e 3 dei 5 Giovani (Nuova Generazione) che si esibiranno. Io tifo Nina Zilli.
ore 21:13 La piuma di Forrest Gump apre la seconda serata: ma Laurenti non era presente ieri? Poi le ballerine del Moulin Rouge... che fighe però...
Dopo un piccolo medley delle tre canzoni eliminate (domani si esibiranno di nuovo), inizia davvero la serata con Povia che parla sempre di persone che pensano di "avere la verità", ma non è che è proprio chi scoreggia che per primo grida "che puzza!"??? Segue Noemi, al secondo ascolto è davvero godibile. Ruggieri canta la sua "la notte delle fate" come se stesse presentando una storia de Il Bivio, il refrain ricorda moltissimo il ponte di Mistero...
I primi ospiti sono... caspita che tenore di ospiti.. diciamo tenorino... ahahahah. Ma guarda questi che hanno inciso We are the world con Beyoncè, Celine Dion, Barbra Streisand, Mary J Blige etc. Ma invece di ascoltare Fabrizio Moro io che faccio? Mi snocciolo il nuovo We are the world, quasi quasi meglio dell'originale. Ammazza Malika Ayane, che femmina, peccato per i capelli da maschiaccio. Ho capito a quale canzone questa della Ayane somiglia: Dopo di me che proprio la Ayane ha scritto per Valerio Scanu! Eureka!
Arriva poi Irene Fornaciari accompagnata dai Nomadi il cui cantante ora ha i capelli... è anche lunghi! Sono sconvolto. Punto. Il Festival si ferma per circa venti minuti con Rania di Giordania, bella e semplice come un tulipano. Chiudono l'intervento i Tenorini con O sole mio
Ritorna la gara, ma dei giovani neanche l'ombra, si sa che son loro a portare le novità (viva Nina Zilli!). I Sonhora ripropongono la loro ballata rock. Dupalle. Mentre la Clerici interpella la galleria deputata a votare si prepara la Grandi, per fortuna col trucco meno obbrobrioso di ieri: assomiglia sempre di più alla Ventura, poverina. Anche la sua canzone oggi suona molto meglio. Valerio Scanu e la sua incredibile voce portano una canzone che al secondo ascolto diventa splendida, il migliore recupero che io ricordi da anni e anni. Bravo Valerio e Pierdavide. La Clerici ringrazia Milly, Simona, Maria, Luciana, Alessia, Michelle, Laura... tutte sue colleghe che le hanno mostrato solidarietà. Segue Cristicchi con Meno male (che c'è Carla Bruni).
Vogliamo i Giovani!! Invece ci propinano la pubblicità e mi sa che dopo ci tocca un altro fermo per l'intervista all'attrice di Avatar. Indispensabile? Per fortuna dura non molto questa pantomima in cui la Clerici è un Avatar di 4 soldi. Arriva il cacofonico Marco Mengoni, e per fortuna dopo ci si pulisce le orecchie con Arisa e Malamoreno.
La Clerici dimostra di essersi giocata la testa: il Can Can? mah... per fortuna inizia la gara dei CCCiovani!!! Inizia proprio la mia prediletta Nina Zilli, bella e brava ma soprattutto bella canzone. Seguono i Broken Heart College, ma cos'è? indefinibile sembrano usciti da Beside School sti due. Che pena! Mattia De Luca è il terzo ed ha una canzone di Tricarico. Iacopo Rapinicon una sua canzone, una simpatica nenia. Ultimo Luca Marino forse il migliore dopo Nina Zilli.
A mezzanotte e 13 passano tra i giovani come volevasi dimostrare Nina Zilli e Luca Marino.
A mezzanotte e 21 lo scandolo prosegue: fuori Valerio e dentro il cacofonico Mengoni. Ricapitolando domani i 5 eliminati si sfidano e 2 di loro rientreranno. Tra tutti io spero siano ripescati Valerio Scanu e Nino D'angelo con Maria Nazionale.
16/2 Prima Serata
ore 20:05 Questo dovrebbe essere il palco.
ore 21:17 Inizia con un pippone esageratissimo di Bonolis e Laurenti il festival di quest'anno. La luce è giusta per la Clerici che sembra una madonna e la scenografia è quella prevista, si inizia con un treno di 4 canzoni: conduce Irene Grandi con un trucco osceno sugli occhi, e questa doveva essere meglio di Bruci la città? Ma non se la potevano tenere sta canzone i Baustelle? Tanto è uguale a una qualsiasi altra loro canzone. Segue Valerio Scanu, bella, bellissima voce, ma la canzone... inesistente. Toto Cutugno segue ma ha dimenticato l'intonazione a casa. Ultimo prima di Cassano Arisa che finalmente porta qualche nota semplice semplice.
Quasi una standing O per Nino D'angelo che si presenta inaspettatamente (per me) con Maria Nazionale, la canzone è bella, ma Maria Nazionale la nobilita non poco. Tremo per Mengoni, non proprio un mio prediletto... una sola parola: cacofonico. Peccato, la canzone se fosse stata interpretata da un bravo cantante...
Arriva Susan Boyle, ma dov'è sto fenomeno? Quando sale va con voce di testa! bah... segue Cristicchi, che ridere, fare un ritornello su Carla Bruni... geniale. Poi arriva Malika Ayane con una canzone di Pacifico. Ogni anno ha il suo momento comico e quest'anno tocca a Pupo. Si accompagna con Emanuele Filiberto di Savoia e un tenore (bravo davvero). Ma il Principe canta sul serio? Pure bravino... comunque sta lagna ricorda Somewhere over the rainbow. Ancora Cassano in una sorta di intervista della Clerici in cui entrambi recitano malissimo la parte degli spontanei con l'occhio sul gobbo elettronico.
Al ritorno della pubblicità ua coreografia di Daniel Ezrelov introduce il cambio di abito di Antonella Clerici, quasi rimpiango i vestiti bomboniera del 2005. Ruggieri ha una canzone molto carina, anche se ricorda un pò troppo Mistero vincitrice nel 93. Seguono i Sonhora dopo una introduzione in cui si scopre che per presentare il festival non bisogna conoscere il metronomo. I Sonhora fanno sembrare i BonJovi i Deep Purple. E poi arriva Povia. Solita canzone orecchiabile: anche quest'anno cavalca l'onda e a un anno dalla morte (!) di Eluana Englaro ci propone un testo su quel fatto di cronaca ("mamma, papà, un giorno ci rincontreremo e ci stringeremo forte" caspita che lirismo!). Dopo il gran soleil arriva Irene (Fornaciari). Finalmente un figlio d'arte più simpatico del genitore, dov'è la sua anima blues? Seguono Noemi senza infamia e senza lode e Fabrizio Moro.
Segue a chiusura di una prima serata noiosissima Dita von Teese, burrosa e sensualissima. Gli eliminati di oggi sono tre e in ordine di apparizione Cutugno, Nino D'angelo e Pupo.
Che vergogna... la canzone di Nino D'angelo è molto bella e Maria Nazionale riempiva il palco. Speriamo eliminino Mengoni domani!
Questo l'articolo apparso martedì 3 Novembre sulle pagine di cronaca cittadina de La Repubblica (pag. IX).
Il disegno commentato è mio (qui è chiamato logo). Bravo Bubbà.
Cicladi – Terza Parte: Mykonos
Cicladi – Seconda Parte: Ios, Naxos, Paros
Cicladi – Prima Parte: Santorini
La mia poltrona trema e mi sveglio. Sono atterrato alle 23,05 del 23 agosto a Napoli. E’ finito tutto così come è iniziato, come in quei film il cui finale vede il protagonista svegliarsi e scoprire che è stato tutto un sogno. Il giorno 13 agosto mi svegliavo nell’atterraggio a Santorini dopo un volo di circa un’ora e qualche tempo passato all’aeroporto di Atene alla ricerca/reclamo delle nostre valigie imbarcate e disperse a Fiumicino dove abbiamo fatto scalo.
Proprio come in quei film però c’è un qualcosa che rende il sogno non frutto dell’immaginazione ma qualcosa di realmente vissuto: i souvenir nella valigia, le pietruzze della spiaggia passate dal casco ai miei capelli e ancora li, le tante foto e le piccole cicatrici un po’ ovunque sul mio corpo.
Ho la testa piena di ricordi, di immagini. Sensazioni tattili e olfattive sono ancora vivide e il risveglio in economy class insieme a un centinaio di napoletani è duro.
Tutto inizia quando alle 17 del giorno 12 ci ritroviamo all’aeroporto per la vacanza tanto agognata. Siamo in 4: io, bubbà, Giovanna e Antonio che da qui in seguito sarà chiamato Principe del Male (PdM). Di li a poco, dopo il nostro check in per Atene, ci raggiungeranno Pasquale e Giuliana.
L’imbarco a Capodichino è sempre molto facile e non presenta grosse limitazioni (temevamo per i nostri pesanti bagagli a mano). Pasquale e Giuliana imbarcheranno il loro unici bagagli, mentre noi imbarcheremo in totale altri due bagagli, uno per coppia, con asciugamani e beni di seconda necessità: la scelta del bagaglio a mano come bagaglio principale verrà ripagata quando all’aeroporto di Atene (dove sostiamo per qualche ora) scopriamo che quelli imbarcati sono andati dispersi, ci viene detto che con il 90% delle probabilità le valigie sono rimaste a Roma Fiumicino. Allora parti con la ricerca tra i bagagli accantonati, sbraita con il dipendente fesso greco e riconosci i codici legati alla tipologia del bagaglio. Infine ci viene assicurato che nel giro di un giorno i bagagli ci saranno spediti ovunque vogliamo.
Le prime ore della notte passano tra sigarette fumate nelle rare smoking area(s) mentre alcuni di noi dormono ad esempio Francesco e PdM che probabilmente ha sofferto di narcolessia per i primi 5-6 giorni in Grecia.
Atterrati a Santorini alle 7 circa del mattino ci ritroviamo in una ambientazione marziale: terra rossa e vento gelido ci accolgono ancora frastornati dal brutto atterraggio. Nella hall dell’aeroporto (6 metri per 10) un chioschetto-biglietteria cela un’attività a Napoli chiamata del “sanzaro”, cioè il procuratore di alloggi. I prezzi variano da 30 a 25 €. Dopo aver detto di no a 4-5 affittuari veniamo accostati da quello che sarà il nostro tutor a Santorini: Nicolas, vaga somiglianza con mio nonno (nasone e occhi azzurri, anche il nome è uguale) e inglese maccheronico. Ci porta a casa sua poco distante dall’aeroporto (nel bel mezzo dell’isola lunga in totale 33 km): tre camere doppie pulite, ariose e con bagno ci accolgono per soli 20 € a notte. Sarà proprio Nicolas a procurarci gli scooter e farceli trovare un’ora dopo proprio a casa. I mezzi sono dei vecchi scassoni cilindrata 50 cc ma tanto vale, dopo il primo traumatico viaggio a Fira uno di questi mezzi basterà a Francesco a insegnargli a stare in equilibrio e di li a poche ore diventerà il nuovo Valentino Rossi. Di buon mattino ci rechiamo come detto a Fira, il capoluogo (o capitale, come dicono loro), iniziamo a saggiare la cucina greca con torta spinaci e feta e anche un baklava per colazione. Ancora senza valigie acquistiamo teli mare, spazzolini, bagnoschiuma e lo stretto necessario per resistere fino all’arrivo delle valigie previsto per oggi. Ricchi di detergenti ci rechiamo a casa per una rinfrescata e iniziamo un bel giro dell’isola: spiaggia di Kamari sul versante sud dell’isola. La spiaggia e popolata ma il mare non è come ce lo aspettavamo da un’isola greca, incontriamo Manuela, amica di Pasquale e Giuliana e poi ci addormentiamo al sole. Per pranzo avremo un Gyros (una pita con carne gyros, tsaziki, patate fritte etc). Dopo pranzo andiamo a casa a riposare (per il viaggio di ritorno ci basta indossare solo il costume!) ma non dormiremo poi tanto visto che alle 7 saremo in aeroporto a ritirare i bagagli finalmente arrivati da Atene. Sarà Nicolas a carriarceli a casa.
Felici di riabbracciare i nostri averi andiamo a cenare da “Mario”, una locanda oltre l’aeroporto e sul mare consigliataci da Nicolas in cui, dopo aver pattuito il costo della nostra cena (cosa che ci viene naturale anche se probabilmente nessuno di noi l’ha mai fatta prima in tutta la vita), per soli 15 € ceneremo con insalata greca, antipasti di mare e due saraghi al forno a testa. Vino incluso. Ci va di lusso. Oramai lanciatissimo Bubbi guida la banda dei 50ini modificati alla volta di Fira. Di notte è un incanto, la Chora (si legge hora) scende verso il mare e il porto vecchio (raggiungibile di giorno anche grazie a file di muli parcheggiati in discesa). Un po’ meno stanchi degli altri io e Bubbà ci concediamo un mega milkshake su una terrazza dall’arredo etnico e col panorama mozzafiato. Poco dopo ci uniremo agli altri e torneremo a casa per finalmente riposare.
Il giorno 14 ci svegliamo di buon ora e ci dirigiamo alla volta della spiaggia rossa a sud est. Sulla strada ci fermiamo in una bakery e li avremo una ricca colazione con baklava (ovviamente) e cappuccino. Lasciato il parcheggio bisogna inerpicarsi per un sentiero sdrucciolevole che da sulla spiaggia. Il mare ancora una volta non ci stupisce ma la spiaggia è suggestiva grazie alle montagne rosse che la spalleggiano. Iniziamo così i nostri book fotografici al sole. Partiti dalla spiaggia rossa decidiamo di vedere un’altra spiaggia: Perivolos. Prima di fare il bagno mangeremo un Gyros seduti al tavolo di una taverna gestita da una isterica e photoshoppata (sul menu) greca. Il mare di Perivolos è il più bello finora incontrato, l’acqua è cristallina e la spiaggia di ghiaia fine è nera. Francesco e Giovanna restano all’ombra di un albero lontani dal mare, la presenza di un Dio greco (ma italiano) allieta Giuliana e me.
Oggi è l’ultimo giorno qui a Santorini e praticamente l’abbiamo vista tutta, manca solo una tappa importante: Oia (si legge Ia). Oia è la seconda città di Santorini ed è famosa per il tramonto, orde di turisti si accalcano per assistere a questo fenomeno naturale che pare sia meraviglioso. In realtà ci mancherebbe anche il famoso giro in barca nel cratere della Caldera, decidiamo di evitare visto che Antonio non nuota un granchè bene e che il tour dura 6 ore: ti lasciano nell’acqua ghiacciata a 100 m dalla costa che va raggiunta a nuoto per arrivare a riva e godere delle terme naturali a 30°C, dopo di che ti portano sull’isola di fronte a Fira per il pranzo e infine a Oia.
Dopo il mare di Perivolos torniamo a casa per una doccia e un sonnellino, ma alcuni di noi non dormiranno (:p). Sulla strada di ritorno decidiamo di prenotare il campo di Paintball da me scorto nel viaggio di andata. Dal nome del gioco capisco che forse è il gioco della guerra a colpi di pallottole di colore. Il costo a persona è di 18 € e il gioco può durare fino a 2 ore, ma si hanno a disposizione solo 100 colpi, ulteriori 100 colpi costano 6 euro. Alle 18,30 siamo in marcia per Oia, una indicazione sbagliata ci fa allungare il tragitto ma è l’occasione per vedere il versante orientale dell’isola, poco abitato e poco turistico. Arriviamo nel centro di Oia verso le 19 e 30: ricorda molto Fira in realtà, abbiamo poco tempo per 1-guardare il tramonto 2-vedere la città 3-eventualmente cenare, così corriamo chi sui tetti chi sulla torre del castello a cercare un posto dove poter ammirare il tramonto. Infilati tra la folla io e bubbà arriviamo sul castello perdendo di vista gli altri. Li troviamo un banchetto di ragazzi americani fatto a base di insalata greca. Sono stati necessari 30 minuti per spiegare a Francesco che non poteva prendervi parte perché era una cosa organizzata da un gruppo e non era aperta a tutti. Il tramonto è una sòla a causa di alcune nuvole all’orizzonte ma lo spettacolo viene ripagato dalla vista di una intera città stracolma di gente posta un po’ ovunque e illuminata da una luce giallo-rosa. Dopo esserci ritrovati corriamo via da Oia per una strada statale buia e curvosa che porta verso Fira. Al primo centro abitato ci fermiamo per cenare. Capitiamo in una sorta di rosticceria con i tavolini fuori, ci vorrà mezz’ora per ricevere quello che si è ordinato e Giuliana riceverà la famigerata e non richiesta cipolla che qui servono ovunque cruda. Di corsa ed entusiasticamente corriamo a giocare a Paintball. Arriviamo con una decina di minuti di ritardo al campo, ma anche qui la vita scorre lentamente come nel resto della nazione, con tutta calma ci danno le divise e le attrezzature e ci spiegano le regole, la safe zone etc etc. entro nel campo recintato con una certa ansia e paura di non so cosa. La squadre sono così composte: Giovanna, Pasquale e Giuliana sono la squadra verde mentre Francesco, Antonio ed io la rossa. Il gioco finirà in mezz’ora a causa della fine precoce delle pallottole di tutti (tranne le mie). Le visiere sono opache e di notte la vista non è proprio ottimale. Vengo colpito tre volte in sei manche. I colpi fanno abbastanza male se esplodono sul corpo ma si è fuori anche se è il proprio fucile ad essere colpito dalle palle esplosive colore fucsia. Un po’ mogi per la delusione del gioco torniamo a casa ma ci riprendiamo con dei dolci tipici mangiati alla stessa bakery di stamattina. Torniamo a casa e, dopo aver rovesciato sul fratello furioso il gelato che aveva ben pensato di portarsi sul motorino e finirlo a casa (che scena comica!), Giuliana decide di essere rinchiusa dentro da Pasquale noi altri 5 andiamo a Fira per un ultimo giro qui a Santorini.
Fine
Cicladi – Seconda Parte: Ios, Naxos, Paros
Il giorno 15 abbiamo appuntamento con Nicolas alle 8,30, ci porterà al porto vecchio per prendere la nave diretta a Ios. L’attesa della partenza è di tre ore che passeremo in buona parte in una tavola calda all’aperto per la colazione. La traversata è veloce ma meno del previsto, così sonnecchiamo. Sbarchiamo al porto di Ios verso le 13 e dopo aver girato un po’ per trovare una sistemazione la troviamo proprio al porto in un albergo che sembra in disuso e quasi “casa degli spettri”. Pagheremo 20 € a notte. Sarà lo stesso affittuario Liberio a farci i biglietti per Naxos, partenza prevista il giorno dopo: Ios è piccola e tolto il porto e la Chora, che solo di notte si popola di giovani, è praticamente disabitata così contiamo di vederla in un giorno. Dopo un pasto veloce e l’affitto dei motorini contrattando ovviamente sul prezzo (e per questo veniamo chiamati a più riprese “mafiosi”) ci dirigiamo verso Manganari: una spiaggia a 35 chilometri di curve e salite dal porto. Impiegheremo un’ora e alle 17 ci troviamo su questa spiaggia larghissima e situata in una baia praticamente disabitata. L’acqua e lo scenario dell’alto sono degne degli atolli oceanici. Purtroppo dopo circa un’ora dal nostro arrivo raffiche di vento potenziate alla sabbia pungono come spilli i nostri corpi stesi al sole che se ne va. Troppo tardi (verso le 19 e 50) andiamo via. Il sole è già dietro le colline e il ritorno per le impervie salite risulta complicatissimo (e a tratti lo affrontiamo a piedi). I 50ini sono vecchi e in cattivo stato, a una decina di km dal centro lo scooter guidato dal PdM si ferma perché finisce il carburante. Pensavamo che dall’altro lato dell’isola ci fosse una stazione di carburante invece il sito è una ambientazione degna dell’isola dei famosi. Mentre Giovanna e Bubbi vanno a comprare benzina per il terzo scooter noi ci fermiamo fuori all’unica locanda nel raggio di 10 km. Infreddoliti al buio e vestiti di asciugamani (sotto solo il costume e poco più) sembriamo dei Rom. Alle nove e mezza passate arriviamo a casa. La vista del porto mi ripaga dell’arrabbiatura presa per non essere andati via col sole da Manganari. Diktat che diventerà un tormentone per me e Giuliana da qui in poi. Poco dopo l’arrivo in albergo andiamo a cenare alla Chora in un ristopub con piscina ma praticamente vuoto chiamato Fanari. Qui capiremo la differenza tra Pita, Gyros e Suvlaky che un po’ ovunque appare a noi fumosa. Quando andiamo uno dei motorini non parte e per troppa foga il PdM rompe il pedale dell’accensione. Il motorino rimarrà li nel parcheggio del Fanari.
Giriamo la Chora che man mano si riempie all’inverosimile di persone giovani e gioviali, il centro è piccolino ma molto carino e pieno di musica nei minuscoli vicoli. I ragazzi approfittano dei negozietti ancora aperti per comprare dei souvenir: qui ci capita una delle cose più significative dell’intero viaggio, acquistare gli occhiali di Lady Gaga, cioè gli occhiali senza vetri ma con una griglia di plastica che dimezza a mo di tapparella la visuale. Ah, dimenticavo, gli occhiali sono glitterati. I miei rosa come quelli di Giuliana e Giovanna, Pasquale e Francesco invece li prendono dorati. Il PdM non li acquista. Tra i plausi generali di gente alticcia e sorridente usciamo dal centro per guadagnare la via di casa. Domani abbiamo intenzione di girare l’isola con comodo dopo lo strazio di Manganari.
La comodità è tanta da permetterci di visitare solo una spiaggia lasciando inesplorata la zona nord dell’isola che prometteva un altro paio di spiagge e la tanto famigerata quanto leggendaria tomba di Omero. Ci rilassiamo al sole di Milopotas, spiaggia vicino al centro. Facciamo colazione nel bar del campeggio della spiaggia e li avrò la mia tazza di porcellana da usare come orpello per le mie passeggiate isolane.
La spiaggia di Milopotas è entusiasmante, finissima e con cristalli che, dispersi nell’acqua limpidissima, luccicano come polvere di diamante. Avete capito bene che quella è la mia ambientazione preferita. Un mare pieno di glitter e di sdraio gratuite. O almeno pensavamo lo fossero finquando un’addetta con tanto di marsupio e blocchetto di ricevute ci viene a chiedere il costo dei lettini. Sbalorditi pensavamo che come a Manganari i lettini e gli ombrelloni fossero a disposizione di tutti. Non è così e forse non lo era neanche a Manganari. Capiamo che i greci sono lenti (la tizia arriva dopo un’ora che eravamo stesi al sole) ma non fessi.
Decidiamo di tornare a preparare le valigie ma sulla via di ritorno ci accorgiamo che c’è il tempo per girare una spiaggia vicino al porto: Koumbara. Facciamo una piccola escursione sugli scogli poi torniamo a posare i motorini e prendere le valigie per salpare per Naxos.
Il viaggio per Naxos è lungo e lo facciamo sul ponte. Qui una litigata furiosa tra me e bubbà per via di uno scopone un po’ troppo esagitato ci fa guadagnare ancora una volta l’appellativo di mafiosi. Sbarcati a Naxos ci ritroviamo in quella che sarà definita l’isola degli orrori. Il porto non è per niente a misura di turista, ci sono due biglietterie (due) ed entrambe affittano anche le auto. Gli affittuari con i cartelli sono più scortesi delle altre isole e male accolgono il nostro spirito di contrattazione. Dal molo del porto si scorge la porta di pietra eretta su uno scoglio e simbolo di Naxos. L’isola è grande e come a Ios pensiamo di non allontanarci dal porto che peraltro è la zone maggiormente abitata, dietro di esso si cela la Chora con il Castro (castello). Nel palazzo delle biglietterie ma all’altro ingresso c’è una signora che affitta le camere. Ha l’aspetto di una megera, una vecchia strega, ma ispira ilarità: ha solo due denti superiori che sembrano canini (ma non lo sono), cammina barcollando con un grembiule su davanti e di chiama Elefsina (da noi ribattezzata Efelesina). Purtroppo ha solo due camere libere, una quadrupla e una doppia e io e Francesco saliamo a vederle. La doppia viene dopo una misera rampa di scale. È piccola, ma ha tre letti, è arredata all’antica con un lampadario incellofanato e lenzuola a fiori profumatissime che lei sfiora con i polpastrelli che poi bacia e rilascia aperti in aria come a dire che la sistemazione era “al bacio” o che tutto era pulito e profumato. Al piano di sopra (dopo una scala a chiocciola di ferro) c’era un metro quadrato di terrazzo con tanto di lavatoio e corridoio per stendere vestiti e lenzuola. La camera è piccola e ci entrano giusto 4 letti. Il bagno è sul terrazzino. Oltre al gesto del bacio performa anche un’altra sua specialità: il gesto “dell’aria”, sventolandosi con le mani alza la testa al cielo e sorride sdentata. Questo significa che la posizione è ariosa (diremo poi che è fortemente ventilata) e con una bella vista (in effetti si vede il castello). Dal terrazzino si vede giù la strada dove gli altri aspettano un nostro parere a testa in su. Francesco preso nella contrattazione scende a 160 € per due notti per entrambe le camere, cioè 13 €/notte a testa. Che sarà anche pochissimo ma di sicuro larghi non ci stiamo. Pasquale è un po’ interdetto e per questo gli viene lasciata la camera doppia che almeno ha il terzo letto per le valigie. Io e Bubbi dormiremo con Giovanna e il PdM. La sera organizziamo una cena sul “terrazzo”: andiamo a comprare il necessario per una insalata greca. Procuriamo anche gli scooter per domani da Giovanni all’angolo che parla un mezzo italiano e che vuole darci dei Liberty Piaggio azzurro avion.
Dopo una litigata con bubbà con tanto di ricerca del medesimo nella labrintica Chora di Naxos abbiamo la cena, l’insalata fatta da Giovanna è meglio di quella mangiata da Mario a Santorini. Alle 11 e mezza casco dalla sedia per il sonno e così mi addormento sul letto (che è a 20 cm di distanza dal terrazzo!).
Ci svegliamo per l’appuntamento preso con gli altri alle 9, mentre ci prepariamo, facciamo colazione e fittiamo gli scooter si fanno le 11. Gli scooter presi sono dei Malaguti 80 cc. E abbiamo pagato 40 € tre motorini! … che mafiosi! E’ il caso di fuggire da Naxos e dai suoi orrori, così acquistiamo i biglietti per Paros per domani alle 10.30.
L’isola come detto è davvero grande così ci dirigiamo verso l’interno per poi scendere sulla costa occidentale dove dovrebbero esserci le spiagge migliori secondo Giovanni. Sempre Giovanni ci consiglia di visitare alcuni paesini giusto al centro dell’isola e li cerchia sulla mappa che lui stesso ci da’.
Arrivati ad Aliko scopriamo che la lunga costa consigliataci è praticamente tutta uguale e ugualmente brutta. Mare algoso e con scogli, spiaggia di ghiaia. Non è neanche una gran bella giornata ma qui i lettini sono gratis, o almeno nessuno ha il coraggio di venirci a chiedere un euro per quel posto. Verso le 14 fuggiamo da Aliko e siamo diretti ai paesini del centro. Dopo pochi chilometri ci ritroviamo a Damariones. Un paesino disabitato la cui piazza principale (definita da me piazza del plebiscito) è grande quanto la hall dell’aeroporto di Santorini. Li c’è solo un bar aperto, in realtà è una porta con una tendina a frange di plastica con un tavolo fuori. Al tavolo sono seduti due anziani e un giovane che continuerà a toccarsi incurante delle due ragazze che erano con noi mentre Pasquale socializza con un berlusconiano indigeno. Fuggiamo da Damariones e passiamo per Halki che è peggio che andar di notte. Finiamo a Filopotas il cui incrocio principale ospita 5 o 6 localini tra taverne e bar. Entriamo in uno di questi e vengo colpito dal girarrosto su cui è piazzata della carne di maiale e peperoni (kotosuvli). Il cuoco visto il luccicore dei miei occhi me ne offre un pezzo e io vado in visibilio: ci accomodiamo dando una mano a sparecchiare e apparecchiare vista la solita velocità greca (sono le 17 e non abbiamo pranzato). Io e u bubs prenderemo un kotosuvli a testa e del pollo in salsa rosa per entrambi. La cucina è davvero ottima. Grazie Naxos almeno per questo.
Finito di pranzare siamo diretti ad altri paesini sperando di trovare quello promesso da Giovanni. Arriviamo a Moni, disabitato peggio di Damariones, le uniche anime vaganti nella piazza del plebiscito locale sono esseri bicentenari. Un tizio dalle dita deformi (l’isola degli orrori) ci consiglia di visitare Melanes, un paesino sulla strada di casa. Dopo una mezz’ora di curve tra cave di marmo arriviamo a Melanes che da lontano sembra Agrigento tanto è il cemento posto li a casaccio. Ci fermeremo per un gelato-milkshake-frappe’ e infreddoliti ma prima del tramonto ci dirigiamo verso la Chora.
Stasera non ceneremo visto il ritardato pranzo ma è previsto un giro per visitare bene la Chora. Dopo aver (dis)perso gli altri li ritrovo mangianti (almeno Francesco si è divorato due pite in mia assenza). Dopo l’ennesima discussione su quest’isola io e Francesco di nuovo dispersi ci ritroviamo a casa. Questa è l’occasione per fare definitivamente pace che viene siglata davanti una tavoletta di cioccolato bianco con le nocciole la quale non basterà a placare il mio languore così rimedio con pane sale e olio.
La fuga dall’isola degli orrori è prevista alle 9 e 30 con una nave lenta che però impiega poco tempo per arrivare a Paros. Già dalla nave (passiamo mezz’ora nel parcheggio per uscire per primi) si vede che Paros è completamente differente da Nasso e sicuramente più vicina a Ios dal punto di vista paesaggistico. Il porto di Parikia, la città di Paros, è molto carino e popolatissimo. Giù dalla nave veniamo avvicinati dai soliti squali affittacamere, tra questi c’è Elena che sarà la scelta migliore mai effettuata finora: 15 € a notte e a persona in una pensione a 5 minuti dal porto nuovissima e pulita. La stessa Elena ci fa acquistare da una sua amica i biglietti del traghetto per Mykonos, partenza prevista domani. In fondo Paros era solo un modo per scappare prima possibile da Naxos. Elena ci consiglierà le spiagge migliori dell’isola che si trovano proprio di fronte al porto e che sono raggiungibili con un taxi del mare per la modica cifra di 4 € a/r. Così entusiasti della sistemazione ci rechiamo su queste spiagge: Krios e Marchello. La spiaggia è popolata (sono circa le 13) e piena di lettini, anche qui ci accomodiamo facendo gli ignari, facciamo il bagno nell’acqua che ricorda quella di Milopotas a Ios per i glitter nell’acqua e prendiamo il sole. Dopo un po’ la solita addetta ai lettini si presenta chiedendoci il conto, ovviamente abbandoniamo i lettini (prevediamo di stare poco su quella spiaggia) e ci dirigiamo oltre. Arriviamo al limite della spiaggia e ci fermiamo davanti a un ristorante che si trova accanto al campeggio di Krios. Li sostiamo per una birra e facciamo conoscenza della proprietaria Natasha che parla un fluente italiano. Mentre gli altri riposano (chi al sole chi all’ombra di un albero) mi immergo in acqua per un escursione del fondale marino. Facendo molta attenzione ai ricci marini sosto a più riprese sugli scogli, un’ondata mi è fatale e per mantenermi appoggio la mano su di un riccio, così tolti gli aghi più grossi mi dirigo a riva per completare l’operazione con quelli più piccoli. Dopo il dito medio del piede destro praticamente viola per il calcio ad uno scoglio sommerso a Milopotas mi ritrovo con 5 aghetti sotto pelle dei polpastrelli della mano destra.
Per svegliare bubbà che dorme gli tatuo con una biro la scritta “Io sono Francesco” sulla schiena. Pranziamo al ristorante di Natasha che appare volutamente presuntuosa come ospite, narrando dei complimenti ricevuti per la sua Moussaka e per i suoi Mohito greci ritenuti a sua detta i migliori della intera isola. In effetti la Moussaka è davvero squisita, la dividiamo io e bubbà insieme a una fetta di pesce spada alla griglia. Prendiamo poi un caffè espresso, il primo preso in Grecia degno di questo nome, anche per questo Natasha si vanta di essere l’unica a farlo buono, pulendo bene la macchina e tenerla a regime. Natasha ha pretese di simpatia con questo suo modo di fare saccente che però unito alla sua bruttezza, che rende Betti la cozza Charlize Teron, la rende un personaggio. Fatte le 19 abbandoniamo la spiaggia con gli ultimi taxi del mare della giornata. Tornati a casa ci riposiamo qualche minuto e poi ci prepariamo per andare a Naoussa, la seconda città dell’isola. Non abbiamo gli scooter oggi e dobbiamo spostarci con l’autobus. Alle 21 e 30 dal porto parte quello per Naoussa. Descritta come città snob in effetti lo è, anche qui come a Mykonos c’è una little Venice, cioè un ponte in mezzo a un piazzale con sotto un piccolo canale senz’acqua. La Chora è molto carina ma i negozi sono davvero cari. Qui troviamo spillette e pendagli del Piccolo Principe icona molto in voga nelle isole greche. Dopo un gyros ci mettiamo in fila per assaggiare una specialità greca: palle di pasta dolce fritta con su cioccolato e gelato, non mi chiedete il nome, è impronunciabile e inscrivibile. Io invece del cioccolato prenderò del miele con cannella e gelato al biscotto, la mia scelta risulta vincente rispetto alla cioccolata. Nella pasticceria troviamo un tipo di gelato sconsigliato dallo stesso venditore e dal solito nome assurdo, lo assaggiamo ed è davvero orrendo, ridendo chiedo se è gelato allo tzaziki (la cremina yogurt e aglio che mettono nel gyros) e tutti ridono di gusto.
Anche qui veniamo fermati per i nostri occhiali glitterati. Torniamo con l’autobus a Parikia per visitarne il centro e assaggiamo il torrone morbido venduto in ostie ad 1 €. Anche Parikia è molto carina ma i negozi sono praticamente in chiusura, è tardi e così torniamo in albergo. Finalmente domani ci aspetta Mykonos, prendo però appuntamento alle 8 con Pasquale per andare a mare di buon ora prima di abbandonare Paros.
Alle 8 e mezza ci ritroviamo sulla spiaggia di Livadia che è a 200 metri dal nostro albergo e praticamente azzeccata al porto. Dopo una piccola colazione arriviamo in spiaggia che a poco a poco si popola di anziani. L’acqua è ghiacciata e gli arzilli vecchietti stile Cocoon si appropinquano pianissimo in acqua. Io e Pasquale faremo lo stesso. Colto da un problemino intestinale torno alle 9 e mezza in albergo, alle 10 ho appuntamento con Pasquale per visitare la chiesa delle 100 porte, chiesa ortodossa famosa di Parikia. Questa volta c’è anche Bubbà che finalmente è sveglio e insieme giriamo per Parikia tornando in albergo dove, alle 11,20, abbiamo appuntamento con Elena: porterà lei le valigie al porto. Dopo pochissima attesa ci si imbarca per Mykonos. Al molo incontriamo Cristiana Capotondi molto carina ma brufolosa. La traversata dura circa un’ora e alle 13 ci ritroviamo a Mykonos.
Cicladi – Terza Parte: Mykonos
Bisogna dire che l’arrivo non è dei più promettenti. Il porto nuovo di Mykonos è un immenso piazzale fatto di piste per le auto ed è sprovvisto di un qualsiasi servizio di autobus. Gli squali affittacamere sono più antipatici del solito e ridono ogni qual volta sentono le nostre offerte da 20 € a notte. Una vecchina con i baffi contratta con Giovanna per una casa a sud, sulla strada per Paradise beach per 30 € ma una attempata bionda chiamata Elena ci ruba con una proposta per 25 €, ci porta nel suo albergo dove, guarda caso, staziona in piscina una annoiata Capotondi. Che soddisfazione indossare gli occhiali di Lady Gaga e pronunciare ad alta voce: “1, 2, 3… sarà 5 metri questa piscina, Pasquale, non mi piace, troppo piccola, andiamo via!”. Elena ci porta così alla casa dei 25 € che però non è quella delle foto mostrateci al porto ma più piccola, si trova su una montagna sperduta, le camere non hanno finestra e due letti sono in cucina così non la prendiamo. Ci porta poi a vedere la casa delle foto che però ha solo un bagno ed è solo un po’ più centrale dell’altra, per questa chiede 30 €, le contrattazioni proseguono fino a scendere a 28,33 €/notte ma visto l’atteggiamento scorretto e i modi maleducati di Elena mi impunto e non ci voglio restare, così ci riaccompagna al porto che oramai è vuoto e ci ritroviamo a piedi, senza casa e senza scooter, con le valigie e sotto al sole. Ci avviamo all’uscita del porto e ci fermiamo ad affittare almeno uno scooter per girare e cercare casa. Io e Giovanna così ci dirigiamo verso il centro e il porto vecchio dove dovrebbe arrivare una nave. Ci perdiamo nel molo e abbiamo modo di vedere il famoso pellicano. Troviamo un vecchio seduto con il cartello di una pensione, gli chiedo se ha camere libere e mi dice che per 25 € a persona ha delle camere doppie, felici e contenti andiamo con questo signore d’ora in poi chiamato “Fisherman” dal nome della sua pensione a prendere gli altri al porto nuovo fermi in una locanda a mangiare, diranno poi di aver condiviso una moussaka, mentre io e giovanna abbiamo condiviso ancora digiuni solo una bottiglia di acqua sotto il sole cocente, vabbe.
Arrivati alla pensione di Fisherman in Langada ci ritroviamo davanti una situazione disperata, la prima camera è piccola e non pulitissima ma con parecchia luce, la seconda è un buco sporchissimo. Ce ne sono altre due nello stabile (infossato) a fianco ma sono entrambe piccolissime, senza luce e sporche. La delusione è misto allo scoraggiamento e Fisherman capendo questo comune sentimento scende facilmente a 20 €. Visto l’orario e lo stress subito questo pomeriggio decidiamo di adattarci almeno una notte. Domani cercheremo un’altra sistemazione. Un letto della nostra camera cade a pezzi mentre l’altro è una branda che sostituiremo con un letto di un’altra camera. Fisherman non fa carte e vuole fittare almeno per due notti. Convinciamo Pasquale con le motivazioni dei bagni in camera (mancanti nelle altre sistemazioni esaminate) e con il fattore risparmio. Gli cediamo la prima camera che ha anche l’angolo cottura. Le altre due piccole e sporche camere sono in un cortile interrato su cui affacciano altre camere. Il cortiletto è popolato da due micini socievoli, che chiamerò GriGino e Omero (perché non vede ad un occhio) che mi entreranno subito nel cuore per la loro completa fiducia in noi. Un po’ sconsolati decidiamo di fuggire da quel posto per vedere SuperParadise così bubbi e il PdM accompagnati da Fisherman vanno a fittare gli scooter per 15 € al giorno per un sol giorno.
Alle 18 passate siamo alla spiaggia di Superparadise che a prima vista è una delusione: si trova in una piccola baia, all’estremità destra c’è la minuscola naked area a quella sinistra il bar-discoteca. Il mare manco a dirlo è fantastico ma la cosa che stupisce di più è la enorme quantità di giovani che popolano il bar. Qui facciamo un giro per chiedere informazioni sulla vita notturna di Mykonos, dove sono le feste etc. e fermo due ragazze italiane, Gloria e Irene, con cui faremo poi amicizia e condivideremo l’inizio di una serata fantastica due giorni dopo.
Al ritorno verso caso passiamo a fare un po’ di spesa acquistando qualcosa di facilmente cucinabile e detergenti per dare una pulita alle camere. In un’ora Bubbi e Giovanna rendono i propri bagni agibili ma la enorme quantità di insetti destabilizza tutti, soprattutto Pasquale. Ceniamo con hamburger e pizza con feta e spinaci, entrambi bruciacchiati. Si fa davvero tardi ma la voglia di vedere la vita notturna di Mykonos è davvero tanta. Così verso l’una di notte io e bubbà andiamo al porto vecchio: un labirinto di vicoli popolatissimi più che a Ios. I locali sono tanti ma l’alta concentrazione gay è imbarazzante soprattutto in prossimità del Pierro’s, noto bar della Chora. Mentre sorseggiamo una Corona su dei gradini una ragazza ci fotografa per via dei nostri occhiali glitterati. Penso sia una professionista e non mi stupirò un giorno se, vagando su internet, troverò questa foto su un qualche sito o blog. Incontriamo Gloria e Irene che cercano proprio il Pierro’s mentre noi cerchiamo di uscire dal labirinto di little venice per andare a dormire.
Torniamo nel nostro tugurio che però ora odora di pulito grazie al lavoro i gomito di u bubs e ci addormentiamo cercando di non far cascare il letto rotto durante la notte.
Il risveglio del giorno 20 ci vede propensi alla ricerca di una nuova casa, io ho un leggero mal di testa che poi crescerà durante la giornata. Raggiungiamo Pasquale e Giuliana sulla spiaggia di Platis Gialos. Pasquale ha passato la prima mattinata a cercare un’altra sistemazione ma senza grande successo, alle 19 ha procurato appuntamento in questa zona con un affittuario chiamato Elios. Dopo Platis Gialos ci rechiamo alla spiaggia di Paradise e strada facendo ci fermeremo in più posti per cercare un alloggio per domani ma tutto è “full”. Paradise è leggermente migliore di Superparadise, qui c’è il Tropicana, famoso bar-discoteca sulla spiaggia animato da Sasà, calvo e praticamente nudo speaker italiano (indossa solo un perizona con un elefante sul davanti: la proboscide è visibilmente imbottita) che incita ragazzi arrapati e ragazze disinibite con parole poco eleganti ma divertenti. Qui si vendono le prevendite per le serate al Cavo Paradiso e stasera ci va di andarci ma siamo un pochino increduli sul sistema prevendita così rimandiamo l’acquisto del biglietto a stasera. Presto si fanno le 19 e andiamo da Elios a vedere le camere (20 € a notte). C’è solo un bagno più un altro nel cortile e Pasquale non vuole rimanere li perché richiede il terzo bagno. Così abbandonati da Elios che fugge al porto lo inseguiamo capendo che sta arrivando una nave e che quindi troveremo molti affittacamere: in effetti sono tutti li. Prendiamo quante più informazioni possibili e fissiamo un appuntamento con tale Maria che ha delle camere in un complesso vicino all’aeroporto sulla strada per Paradise. Maria Paradise non si presenterà da Cantini, pasticceria da 10 e lode e così torniamo ancora sconfitti a casa passando per il supermarket. Domani alle 12 dobbiamo essere fuori e non abbiamo trovato ancora nulla. Pasquale più di tutti è demoralizzato e non cenerà con noi. A causa del mal di testa mi abbandono sul letto dove cado in un sonno pesante fino al risveglio il giorno dopo.
Mi sveglio alle 8 e 30 e scopro che Pasquale è già fuori per cercare casa, alle 9 e mezza lo incontriamo e insieme prendiamo appuntamento con una certa Irene, accostata da Francesco ieri al porto. La casa di Irene sulla carta dovrebbe essere grande, con cucina e con tre bagni, il tutto per 35 €/notte a persona. Irene ci viene a prendere a Langada e saluto i miei topini commosso augurando loro buona fortuna.
Irene ci dice che la casa sarà libera e pulita alle 13,30 così ci porta al suo albergo per parcheggiare le valigie e a vedere dove si trova la casa: vicina al porto vecchio e la Chora. Con i nostri scooter raggiungiamo la spiaggetta del porto dove passeremo un’ora o due dopo aver acquistato i biglietti per la nave di ritorno previsto per loro 5 il 26 da Mykonos ad Atene. Alle 13 e 30 siamo in albergo pronti a vedere questa nuova “topaia” come la chiamo io per scoraggiare scherzosamente gli altri. Arrivati ci ritroviamo davanti l’inimmaginato. Ciò che pensavamo non potesse mai succedere accade davanti ai nostri occhi. La casa è una reggia con cucina imperiale, salone e salotto di lusso e con un enorme terrazzo dal quale si ammira l’intero porto vecchio con la Chora e dal lato destro il porto nuovo. In casa le camere sono due ognuna con un bagno e tramite una porta comunicante, che però è bloccata, si accede dalla cucina alla terza camera con bagno. Questa camera ha anche un accesso esterno.
Dopo le formalità con Irene e dopo che l’uomo delle pulizie, Assam, finisce di pulire siamo soli in una reggia, io inizio a correre per tutta la casa per la felicità[v1] . E poi ci spruzziamo sul terrazzo con la “cannola”.
Alla scelta delle stanze noi prendiamo la migliore per i primi due giorni (dopo i quali io andrò via) e Giovanna l’altra in casa perché non vuole rimanere isolata. Pasquale a questa scelta resta dispiaciuto dicendo di non aver mai scelto la camera in tutta la vacanza e desiderava stare in quella con la vista sul mare. Da questo momento in poi non sarà possibile tornare con lui sull’argomento e quando andrò via la camera con vista resterà vuota perché entrambi, Pasquale e Giuliana, decideranno di separarsi da noi e passare il restante tempo a Mykonos separati da noi 4. Raramente li vedremo e solo io avrò modo di parlargli in maniera diretta. Questo mette un po’ di amaro in bocca.
Decidiamo di andare alla spiaggia di Elia, sicuramente la migliore vista finora. Nel parcheggio incontriamo Gloria e Irene che si preparano al ciambellone trainato dal motoscafo e ci parlano del sapone Dove nel bagno del ristorante. Il lato destro della spiaggia è completamente gay e, oramai fissi sul mio naso, gli occhiali di Lady Gaga mi fanno conquistare un applauso da una decina di ragazzi adoranti sul bagnasciuga. La spiaggia di Elia ha una nudist area e io e bubbà rimaniamo li per un po’ dopo di che raggiungiamo gli altri 4 che sono in un imbarazzato silenzio, era più facile stare nudi che li. Stasera al Cavo Paradiso c’è David Morales, mio mito personale, il DJ più famoso del mondo che ha collaborato con i fratelli Jackson, Madonna e soprattutto Mariah Carey per la quale ha realizzato i remix più belli della storia della musica. Decidiamo e convinciamo gli altri ad andare alla serata: la prevendita costa 25 € ma bisogna entrare prima delle 2.
Non riusciamo a convincere però Pasquale e Giuliana e dopo un piccolo chiarimento con loro sui diversi punti di vista sulla faccenda “stanza” andiamo al Tropicana ad acquistare le prevendite.
Felici e contenti torniamo a casa a preparare la nostra prima vera cena cucinata da noi: una buona pasta al sugo (250 gr a testa!) cucinata da Giovanna.
Alle 12 e 40 usciamo di casa diretti al Cavo Paradiso. Sciarpa, maglioncino, occhiali Lady Gaga e una bottiglia di vodka assoluta nello scooter.
Alla 1 e 10 siamo già nel locale, più piccolo di quanto mi aspettassi ma davvero carino, fatto di terrazze a gradoni attorno a una piscina recintata da una velvet rope.
Passiamo le prime due ore seduti al coperto con Gloria e Irene. Alle 3 e mezza cambia musica, senza presentarsi Dave Morales inizia a suonare, da qui il delirio. Alle 4 siamo già in pista con un cocktail in mano (molto buono il mio cosmo e abbondante il Jack Daniel di bubbi) e da allora ho solo ricordi fumosi. Quello più vivido è sull’uscita al parcheggio per bere la vodka che però ha effetto solo su di me (ne bevo tre bicchieri quasi di seguito).
Ricordo di aver ballato senza maglietta toltami da Giovanna, di aver chiamato con la mano quello che pensavo fosse un noto pornoattore, di aver fatto arrabbiare malamente bubbà, di aver parlato con un ragazzo che ballava da solo sul cubo girato verso il mare buio, di aver ballato Billi Jean, di essermi fermato sotto la consolle di David Morales per fargli ciao con la mano senza successo (sempre testa calata su pc e mixer), di aver conosciuto un ragazzo che era al seguito di Gloria a Irene: Alessandro. Detto ciò ricordo anche che dopo aver chiamato il presunto pornoattore (e lui mi chiedeva col dito se cercassi proprio lui!) me lo sono ritrovato davanti: gli ho chiesto se fosse il noto attore hard e lui ha risposto si, gli ho fatto i complimenti e lui ha stretto la mano a me, a Gio e al PdM. Il suo nome è Jean Franko ed è stato di una carineria unica: dovevo essere proprio ubriaco per chiamare col dito una celebrità mentre faceva delle foto pretendendo che lui si avvicinasse, eppure lui è venuto a salutarmi! Chissà forse gli occhiali Lady Gaga sono magici!
L’ultimo ricordo della serata sono le luci dell’alba mentre mi portavano via dal locale e mi mettevano sul motorino guidato da u bubs dicendo che dovevo cantare quanto più forte possibile tutto il repertorio di Mariah Carey. Penso di averlo fatto ma anche di aver dormito. O forse fatto entrambe le cose contemporaneamente.
Incredibilmente mi risveglio alle 14 senza neanche il mal di testa. Gli altri dormono ancora ma è il mio ultimo giorno qui a Mykonos e vorrei vedere per ultima volta alcuni posti: così andiamo solo io e bubbà a Superparadise prima e a Paradise poi.
Torniamo a casa verso le 19 e mentre Bubbi va a fare una chiave della porta di ingresso io mi lavo, guardo il tramonto dal terrazzo e faccio il caffè. Al suo arrivo scendo con lui ad acquistare gli ultimi souvenir perché domani non ne avrò il tempoo. A mamma ho preso degli orecchini a Patrikia a Paros, a mio padre prenderò un portachiavi simile a quello che prenderò per me e a Massi la solita palla di cristallo con la neve più altre cosine che non sto qui a dire.
Torniamo a casa per l’ultima cena insieme sempre cucinata da Giovanna, una carbonara piuttosto secca (è finito l’olio) seguita dai soliti hamburger che stavolta non sono bruciati.
Il caffè lo prendiamo in terrazza con la vista mozzafiato. Tira poco vento per fortuna.
E’ tempo per un ultimo giro in centro così questa volta insieme a Giovanna e PdM. Prima di scendere saluto Pasquale e Giuliana in camera loro. Sono appena rientrati e resteranno a casa. Nella piccola chiacchierata tranquilla ci raccontiamo le esperienze degli ultimi due giorni.
Noi 4 invece andiamo al Pierro’s e riusciamo anche ad entrare (è un buco affollatissimo) poi cerchiamo qualcosa da bere, io cerco di evitare l’alcool e vorrei un milkshake. Capitiamo in una creperia-pasticceria. A me invece del milkshake darà un beverone di latte e vaniglia, la crepe di Giovanna sarà praticamente senza cioccolata e la crostata di Francesco sarà secca. Incontriamo per l’ultima volta le ragazze poi torniamo a casa.
Il risveglio per me è alle 10 e mezza e alle 11 e 15 siamo in strada io e bubbà soli per un ultimo mio giro prima a Megali Ammos, la spiaggia accanto al porto ritenuta tra le più belle dell’isola che però è praticamente vuota e poi a Psarou consigliatami ieri sera da Pasquale.
Alle 12 siamo di nuovo a casa poco dopo Francesco mi accompagna all’aeroporto di Mykonos per il saluto. Con noi anche Giovanna e Antonio. L’arrivederci è commosso da parte di Francesco mentre io penso che 4 giorni di lontananza siano nulla. Mi ricrederò atterrato a Napoli. Il viaggio di ritorno è lungo 3 voli per un totale di 10 ore, 3 e mezza delle quali passate ad alta quota. Ad Atene ho appena il tempo di raggiungere il quartiere centrale della Plaka di girarci per mezz’ora e di ritornare in aeroporto per il check in per Milano Malpensa dove farò scalo per Napoli.
Il resto è banale. Atterraggio con risveglio e rinsavimento in un bagno di realtà bruttissimo. Mi aspettano i miei genitori fuori all’aeroporto, chiedo loro di accompagnarmi a mangiare un kebab che ha il sapore del gyros ma non riuscirò ad averlo: Aladin a piazza Garibaldi si è trasformato in un minimarket.
Per alcuni giorni non saprò guidare bene l’auto come prima di questa vacanza, il senso della strada è alterato da 10 giorni passati sul motorino (per me era la prima volta su un motorino per tanto tempo di fila). E per alcuni giorni all’ascolto in radio di Lady Gaga cercherò gli occhiali glitterati che però non porto più, sempre e ossessivamente, con me.
Sanremo 2009
Quest'anno l'ho seguito con la solita attenzione ma non ho avuto ancora l'occasione di dire la mia, sarà che oramai vecchio e scontroso nessuno mi da' da parlare.
Iniziato coi migliori degli auspici poco ci voleva a intuire che dopo il mega successo del 2005 Bonolis avrebbe bissato, poco ci voleva dopo la debacle Baudiana (sempre sia lodato). Un paio di forti polemiche prima già a un mese dall'inizio, la prima su tutte quella del brano di Povia. L'artista che per qualche mese nel suo passato ha fatto "ohhh" (per sua stessa ammissione) narra la storia di chi dopo vent'anni di omosessualità indotta (dalla confusione generata) da genitori troppo ossessivi o addirittura assenti si innamora di una donna e si sposa. Un happy end (per alcuni) tanto chiesaiuolo quanto improbabile. Bastino le parole di Guillermo Mariotto a proposito: "Ho tanti amici gay nel mondo della moda, e chi lo assaggia difficilmente lo dimentica". Incontestabile. L'altra polemica, quella sulla canzone di Iva Zanicchi, è diventata addirittura più forte nella settimana Sanremese fino a diventare un caso nazionale e politico. Vittorio Sgarbi promette un esposto alla magistratura al fine di annullare l'intero Festival: colpevole Benigni di aver fatto ironia sulla Zanicchi immaginandola fornicare con Berlusconi. Questo avrebbe svantaggiato la Zanicchi che di li a poco si sarebbe esibita. Noto che i problemi della Nazione siano ben altri (e i politici Sgarbi e Zanicchi dovrebbero saperlo bene) faccio presente che la Zanicchi non è stata ripescata (la canzone era orrenda). Inoltre Iva (che stavolta non è affatto al 20%, direi almeno un 23%) non può pretendere contemporaneamente di essere considerata morigerata e sessualmente libera. Si renda conto che ha 70 anni. Tutt'al più si limiti a salutare con la manina come fa Mina nei suoi video. Si è parlato anche della canzone di Masini: nonostante parlasse malissimo dell'Italia ha riscosso successo. Inspiegabile. O forse di norma nell'Ariston che plaude l'Oscar Wilde di Benigni, poi fischia Grillini e applaude Povia.
Grandi ascolti, non invero ai fasti Baudiani di metà anni 90, grande consenso per Piolo e per Luca Laurenti. Ora, non è per dire, ma tutti sono caduti dal pero stupiti e increduli ascoltando Laurenti cantare. Ma 10 edizioni di Buona Domenica non li ho fatti mica io! 5 prime donne un pò troppo inutili De Filippi compresa e 5 gran gnocchi inutili come sopra, ma almeno c'erano e compensavano la mancanza del Casuccio.
La musica: perchè c'è ancora, anche se sempre di meno, quest'anno solo 16 Artisti con la A maiuscola e 10 Proposte senza l'aggettivo "Nuove" per giustificare Iskra, la ageè vocalist di Lucio Dalla qui come solista. Tra gli Artisti le canzoni migliori da Tricarico, Pravo, Dolcenera, Marco Carta che poi vince. Tra le Proposte Karima (la migliore canzone di Sanremo), Arisa che poi vince, Malika Ayane con una bellissima canzone del Negroamaro Giuliano Sangiorgi. Con Baudo si toccavano i 20 Big e i 16 Giovani. I tempi cambiano: la gara della finale alle 22 e 30 è già terminata, poi per due ore (e più) solo cazzeggio. Il merito più grande del Festival è stato quello di trasformarsi in un grande happening il giovedi. Zucchero, Ranieri, Vanoni, Dalla, Paoli, Bacarach, Biondi, Vecchioni, Daniele e Cocciante tutti al servizio delle Proposte. Non sembrava l'Ariston ma la Royal Music Albert Hall. Meno bene quando sembra la Buona Domenica di Costanzo con Bonolis che canta mentre le signore attempate sventolano fazzoletti in galleria.
E l'anno prossimo chi manterrà vivo il Festival dal momento che nessuno ne pare capace oltre a Bonolis? I primi rumors lo danno in pole position.
Finalmente nuovo
Finalmente on line il mio sito nuovo. Ci si lavora su da molti mesi, è stato quasi un parto. Ma senza Travaglio che, si sa, è da Santoro ad Anno zero.
Il concept del sito come si può ben vedere è basato sulle caramelle e sui colori dell'arcobaleno, colori forti anche quelli del carattere dei testi. Quello predominante è ovviamente il mio Bodoni MT black. Scarica qui il font!
Oltre alla magnifica grafica realizzata per me da Francesco "Bubbà" Garzillo le novità consistono in questo fondo messo sulla home page e nella foto quissù che è stato pensato di cambiare periodicamente come anche il video qui affianco. La prima foto è quella in cui i fiori secchi regalatimi a Barcellona fanno perfetto pan dan con la nuova grafica.
Per il resto tutto uguale, qui si parla di me, di me e ancora di me.
In I Am trovate i post che sono anche sul mio blog raggiungibile dalla pagina link insieme ai miei blog preferiti, in Love Affair alcune mie osservazioni sull'amooore, archivi fotografici nella pagina Foto e le mie canzoni e un racconto nella pagina Multimedia
Gianluca Capozzi: chi era costui
Gli ho mandato una email, mi ha risposto: si merita
un post.
In realtà il post l'avrei scritto lo stesso per far conoscere ai miei lettori
(soprattutto quelli del nord Italia) una realtà musicale napoletana oramai ben
affermata.
L'ho conosciuto per caso nello zapping radiofonico (era su radioitalia) ed
allora ho approfondito fino a conoscerlo a fondo: ad oggi ho assistito a 4 suoi
concerti e conosco tutte le sue canzoni più famose (più di 30). Gianluca Capozzi
si esibisce principalmente nell'interland delle province campane, tutti in feste
di paese con tanto di bancarelle di chincaglierie e chioschetti alimentari.
Da un po' di anni incide praticamente solo in italiano, concedendosi al massimo
una canzone in napoletano in ogni album. Gli inizi sono da neomelodico e non
rinuncia ai suoi primi successi in napoletano nelle esibizioni live.
Il ragazzo ha 33 anni, è piacente, ha un timbro caldo e pulito e canta di amore
e delle cose di tutti i giorni, proviene da una famiglia di musicisti, bati dire
che è nipote di Mario Trevi, gloria della Napoli che si fermava per il Festival
di Napoli. Il suo seguito è molto variegato ma la “falange armata” è costituita
da adolescenti femmine (come sempre), basse e di ceppo campano.
Di tutto il suo repertorio già vasto (canta dal 1996) quello che mi ha
principalmente colpito fino a farmelo piacere molto sono i suoi ultimi lavori:
musiche, testi e produzioni che nulla hanno da invidiare alla migliore musica
pop italiana. E così, per gioco, ho organizzato una trasferta a Trecase l’8
agosto scorso. Ho scoperto un mondo fatto di canzoni piacevoli che la gente
cantava a piena voce. E in più, bisogna ammetterlo, abbiamo tutti notato che la
zona pelvica dell’artista ha un qualcosa di fortemente ipnotico.
Ieri, 20 settembre, si è concluso il suo tour 2008. Riprenderà forse l'anno
prossimo nel frattempo è quasi pronto a lanciare il suo nuovo CD di cui Io ci
sarò è il singolo apripista.
Per chi volesse approfondire vi elenco la mia personalissima top ten (è stato
difficile eliminarne 5 o 6):
A un passo da me
Mai
Si parte da zero
Parlerai di me
Angel
Resta come sei
Nun te scord cchiù
Sole e mare
Lei
Non voglio consigli
Vi posto inoltre video ripresi ai suoi concerti (un video per concerto):
Il dossier si completa con le foto nella relativa sezione del sito.
Note negative:
Tolto il suo abbigliamento, non proprio di classe, l'unico problema ai suoi
concerti restano le ragazzine infoiate delle prime file. Se mai capitasse di
arrivare fin la sotto bisognerà fare molta attenzione all'isterismo pazzo delle
adolescenti dall'urlo e dalla lacrima facile. Ma in fondo chi va per mare questi
pesci prende. Ed è il caso di dirlo parlando di Gianluca Capozzi
Barcellona
E’ il giorno 14 agosto: finalmente il giorno della
partenza per la vacanza tanto agognata, sin dal momento delle prenotazioni dei
voli. Gli eventi sembrano essere sfavorevoli o comunque minacciosi per la buona
riuscita del viaggio e della permanenza. O forse sono solo gli animi da
menagrano che ogni tanto riaffiorano in qualcuno di noi. La mia soluzione è
sempre la stessa ed è sempre funzionale. Essere sorridente, positivo e non
pensare alle cose brutte. Ovviamente ciò è possibile dopo aver preparato
accuratamente per ore tutti i Piani B necessari: essere ottimisti ha un costo e
inoltre “ci vuole sempre il Piano B”.
Alle 10 scendo di casa, passo a prendere Francesco (da ora in poi Bubbà, Bubba,
u Bubb etc.): alle 11 è previsto che a casa mia passino Mimmo e Salvatore con
l’Astra (un’altra non Farfallina mia) a prenderci entrambi. Il viaggio inizia
esattamente alle 11, dopo aver caricato i bagagli nella station wagon e aver
salutato Salvatore dal cappello stile prateria rosso che siede affianco al
guidatore Mimmo e che è (e resterà per molto) attaccato al telefono.
Il viaggio per l’Aeroporto Roma Ciampino è iniziato con largo anticipo: il volo
decollerà alle 17 e 30. Ma è bello godersi la partenza e soprattutto è utile per
affrontare eventuali contrattempi. In un paio d’ore siamo all’aeroporto. La
macchina resterà al parcheggio P6, ed in effetti pur volendo spostarla
risulterebbe un po’ difficile senza l’aiuto di un carro attrezzi: superata la
sbarra del suddetto parcheggio accade che l’auto, dopo aver mostrato segni
sonori evidenti di cedimento nelle ultime curve, si impunta e per condurla tra
le strisce bisogna spingerla. Il viaggio inizia con un problema: ritorno col
treno e grattacapi per Mimmo che deve far riparare l’auto in qualche modo.
L’attesa in aeroporto è lunga, pranziamo nell’afa delle partenze e ci accampiamo
nella fila dell’imbarco per assicurarci i posti migliori sull’aereo, la Ryan Air
ancora non affida un posto a sedere al check in. Il volo inizia con grosse
virate e fastidiosi rumori in zona motore. Tanto basta per alimentare sospetti
in qualcuno sull’aereo: io, attento spettatore di Lost, diciamo che non resto
indifferente a questi rumors. Dopo aver brindato sull’aereo con birra alle 18 e
30 ci accingiamo a appoggiare i nostri piedi curati sul suolo spagnolo. Il
ritiro bagagli è veloce come anche la scoperta degli autobus per Barcellona
città. Alle 20 e 30 siamo al terminal degli autobus. Una veloce metropolitana ci
porterà dal nostro ospite Ture, in ronda San Pau, non lontano dal mercato di
Sant Antoni. Io e Salvatore saliamo da Ture, che vive in uno stabile con tanto
di hall e interni in marmo rosa e specchi. Ture ci accompagnerà alla casa e nel
frattempo dialogheremo del più e del meno e della zona in cui alloggeremo e cioè
“el Raval” descritto dalle guide e da chi ci è stato come una zona degradata e
pericolosa. Ture mi dice che non è così: da cinque anni a questa parte le cose a
Barcellona sono molto cambiate e che in generale le cose in città evolvono nel
giro di pochi anni. Arrivati nel nostro vicoletto Carter de Santa Elena al
numero 8 c’è il portoncino: fatte tre rampe di scale si entra nell’appartamento
(ci sono due porte e dopo la prima c’è l’ingresso anche di un altro appartamento
di Ture) Dopo un corridoio sulla cui sinistra ci sono il bagno e la cucina si
arriva in una stanza soppalcata, di fronte si ha il balcone e sulla sinistra una
mini stanzetta in cui vi è solo il letto e nient’altro può entrarvi. Per fortuna
questa stanzetta ha una larga finestra. Mimmo sceglie il soppalco per le prime 6
notti quindi a noi tocca la stanzetta, c’è la porta questo si, ma non c’è spazio
per mettere vestiti e quindi li lasceremo nelle valigie nel salone. Sono le 23 e
bisogna cenare (solo un panino a pranzo). Ovviamente prima tappa obbligata per
me e Francesco è il KFC che però ci chiude praticamente le porte dietro non
permettendoci di usare il locale e così “take away”. Mimmo e Salvatore si
daranno a latte e biscotti mentre noi affondiamo nella pastella dorata delle
alette e dei pezzi di petto e coscia.
Il primo giorno di vacanza inizia con una pseudo levataccia: alle 11 siamo in
strada, l’entusiasmo del primo giorno è bellissimo e la voglia di scoprire una
nuova città ti permette anche di fare pazzie come portare la colazione a letto a
u Bubb. Scherzo Bubbà!
Il programma della mattinata (cioè un paio d’ore prima del pranzo) prevede
Barrio Gotico con itinerario della National Geographic. Dal teatro Liceu
risaliamo les Ramblas (sono infatti quattro) fino ad arrivare a piazza Catalunya
per poi riscendere verso Avigunda dell’Angel. Si inizia con la Cattedrale (non
riconosciuta perché incartata con una impalcatura a prova di paparazzi) e con il
giro per visionare i resti delle antiche mura romane. Un giro un po’ tedioso se
non fosse per il fatto che camminando si scoprono angoli che non sono riportati
sulle guide turistiche. Viste praticamente tutte le singole rocce delle antiche
mura romane che delimitano il Barcino (sarebbe stato più divertente costruirle
da schiavo forse) entriamo nella cattedrale chiamata la Seu. Prima nel chiostro
che è praticamente una foresta di architettura gotica con al centro una foresta
vera e propria. La Cattedrale anch’essa gotica è molto bella. Ci concediamo poi
il museo di Dalì, il pittore preferito mio e anche di Bubba. Un veloce giro al
museo della storia della città che decidiamo di non visitare (roba tipo Napoli
Sotterranea) e ce ne andiamo alla Barceloneta a vedere il mare. Il quartiere è
ampio e soleggiato, orde di giovani si dirigono verso il mare. Noi tagliamo
all’interno della maglia dei palazzi e arriviamo alla fine di playa de
Barceloneta. Con gran stupore notiamo che la spiaggia cittadina oltre ad essere
enorme è completamente gratuita e pulitissima, inoltre il mare si presenta di un
bell’azzurro intenso. Camminiamo in direzione di un grosso pesce di maglia di
rame posto in prossimità di due palazzi da 50 piani e più. Ci dirigiamo verso la
playa de la Mar Bella spiaggia (si dice) nudista. Il cammino è lungo ma molto
piacevole fino al Porto Olimpico poi diventa un po’ solitario, anzi meno
confusionario. Troviamo questa spiaggia ed in effetti sono tutti nudi, ma tutti
tutti. Anche se nascosta la spiaggia resta comunque un posto di passaggio ma ai
bagnanti non sembra importare. E di li a poco non importerà neanche a noi.
Finalmente al mare, finalmente a Barcellona: luogo dove dopo aver visto un museo
ti puoi tuffare a mare nudo. L’acqua è pulita, davvero trasparente mai placida e
con fondale non troppo solido: di contro c’è di buono che la sabbia ha dei
granelli piuttosto grossi che subito vanno via. Anche qui sono disponibili le
docce pubbliche sulla spiaggia, che civiltà. A causa della scarsa dotazione di
asciugamani (ne avevamo uno in due) ce ne andiamo dopo solo un paio d’ore, una
ricca metropolitana ci condurrà fino alla Gran Via e alla zona gay. Un
quartierone residenziale silenziosissimo (complice il giorno di festa: è il 15
agosto). Sono praticamente tutti chiusi, tranne un sexy shop in cui troviamo una
pubblicazione circa le feste e le serate in programma.
Tornando a casa io e Bubs facciamo la spesa all’Opencor, supermercato caruccio
aperto fino alle 22, A casa ceneremo, fusilli precotti e insalata. E’ venerdi e
decidiamo di scendere, in fondo è la prima vera sera a Barcellona e bisogna fare
qualcosa di strano: decidiamo per l’Open Mind un bar fetish dove dovrebbe
esserci un underwear party. Con un po’ di esitazione e dopo un tentativo fallito
(la porta era dura) entriamo nel club, anziani vestiti in pelle ci spiegano come
funziona: possiamo rimanere vestiti, ma è necessario togliere i pantaloni. Ora
dico io, e se uno aveva il mutandone di lana del nonno? Doveva togliere anche
quello? O in quanto “mutanda” poteva tenerla? Insomma, la condizione è che si
vedesse la coscia nuda? Dentro saranno tutti nudi o in mutande (molti in
jockstrap, uno slip senza la parte di dietro). Dopo il solito imbarazzo iniziale
stigmatizzato con i giri al piano di sopra dove scopriamo le altalene in pelle
ci ambientiamo al buio, ma oltre a due che danno spettacolo al bar gli altri
girano e si guardano attorno. Poi accadono cose, cose normali, cose strane e
cose stranissime. Come il fisting. Ritorniamo a casa a piedi.
Il giorno seguente ci si sveglia più tardi e si inizia a perdere il tempo nelle
preparazioni alle uscite, in fondo è vacanza anche questa. Alle 14 siamo in
strada, il giro di oggi inizia in compagnia con Mimmo e Salvatore, si va al Parc
Guell. Ma una volta arrivati in cima alla collina vengo posseduto dal languore:
menu turistico con tanto di paella. Già questo primo assaggio della cucina
catalana non ci lascia indifferenti. In fondo tolta l’insalata servita come
primo piatto non è molto dissimile dalla nostra. Siccome si è fatta una certa
ora lo spirito turistico si impossessa di noi, così cominciamo a scalare il
parco in cerca di non si sa che cosa. L’ingresso del parco è simile all’ingresso
di un parco giochi, solo che non c’è nulla di cartapesta. Le due case ai lati
del cancello principale sono una meraviglia, come anche la scala al cui centro
c’è una fontana (spenta) con una salamandra (in realtà un drago) tutta colorata.
Sulla sommità della scala e ben visibile all’ingresso c’è la sala consiliare,
una ricca foresta di colonne (le perimetrali sono pendenti) che sorreggono un
tetto con tanti incavi. Sulla sala consiliare c’è il terrazzo il cui bordo è
adornato da panchine ottenute nella pietra e rivestite con mosaici fatti con
cocci di mattonelle colorate. Tale tecnica del mosaico, noteremo, era molto cara
a Gaudì e ai modernisti. La corsa sfrenata nel Parc Guell ci condurrà sotto i
pergolati di colonne bislacche ma deliziose.
Decidiamo che il turista vede più cose in una giornata e così complice la
temperatura non troppo calda decidiamo di andare a piedi (è tutta discesa) alla
Sagrada Familia, altra imponente opera di Gaudì. L’ingresso costa 10 euro, e
dopo aver fatto il biglietto scopriamo da un cartello che l’ascensore per le
torri è chiuso. Invece per altri 2,50 € si potrà salire facendo però un’ora di
fila. L’ingresso lato Passione è maestoso e la chiesa è un cantiere praticamente
tutto chiuso. Solo l’ala destra sarà visitabile. Ma la osserviamo
dettagliatamente in fila per l’ascensore. L’opera è maestosa e verrà completata
nel 2040, nonostante i lavori siano iniziati nel 1900. Saliti su una delle torri
godiamo di una bella vista panoramica di Barcellona attraverso le finestrelle.
La discesa della torre (a piedi) è altrettanto suggestiva in quanto conduce a
balconi da cui è possibile notare gli elevati particolari delle torri e della
facciata ovest. Ciò che ci lascia meravigliati però è la facciata della
natività. Tutta interamente scalfita, ogni singolo metro quadrato rappresenta
una scena biblica.
Cala la sera e così torniamo a casa. La nostra cena sarà a base di frittura (e
quando mai!) con un entrè di mussaka (leggasi anche lasagna bianca di
melanzane). Dopo un po’ di relax e un po’ di birra Sant Miguel, immancabile, io
e Bubbs ci prepariamo e andiamo (a piedi) all’Arena. O meglio alle Arena. Di
discoteca Arena ne esistono quattro. Decidiamo di andare in quelle Dandy e VIP
ma per entrare è necessario pagare e farsitimbrare all’Arena Classic. Le Arena
sono discoteche gay, con musica un po’ troppo commerciale e poco raffinata (in
fondo sono spagnoli), ma il clima è divertente, i ragazzi sono tutti molto
giovani e le sale sono enormi e ben condizionate. Alle 2 le sale iniziano a
riempirsi. Cioè dopo un’ora dal nostro arrivo. Un problema risulta la scelta dei
drink, vi elenco tutto quello che non conoscevano o non sapevano fare: Black
Russian, Invisibile (o Quattro bianchi), Sex on the Beach, Cosmopolitan e tutti
gli altri cocktail che io e Bubbà abitualmente beviamo. Mi accontenterò di un
rum e coca, la coca mi verrà servita nella sua bottiglietta, sarò io a dovermela
miscelare al rum. E vabbè. Alle 3 saremo già di ritorno.
Anche il giorno 17 inizia con ritardo, alle 14 usciamo di casa e ci diamo
appuntamento alle 16 alla cattedrale. Io e Bubbà decidiamo di pranzare nel
ristorantino sotto da noi “maison David”, un pranzo delizioso ed economico. Dopo
un giretto per negozi di souvenir ci ritroviamo con Mimmo e Salvatore e andiamo
al Palazzo della musica Catalana, che però è chiuso. Il palazzo promette bene e
ci ripromettiamo di ritornarci. Il nostro giro a piedi continua per Passeig de
Gracia (una volta zona indipendente) per vedere Casa Batllò, favolosa ma
all’ingresso erano richiesti 16,50 € e la Pedrera (Casa Milà). Neanche questa
visiteremo per la forte stanchezza di tutti. La veloce metropolitana ci
riporterà a casa. E’ domenica e sappiamo di una festa sulla playa de la Mar
Bella. Così ci andiamo, ma dopo un’oretta circa io e Bubbà resteremo soli e così
ci facciamo pure il bagno. Il ritorno a piedi (le metro chiudono a mezzanotte di
domenica) è dei peggiori, ma sapremo che M&S ci hanno impiegato 2 ore. Per
fortuna con noi abbiamo i costumi bagnati che usiamo di tanto in tanto per fare
impacchi ai piedi di lycra umida.
Il risveglio successivo avviene alle 12 ma dopo la stanchezza e i mancamenti del
giorno prima non c’è voglia di fare molto. Giusto andare a mare. Così alle 14 ci
ritroviamo alla playa di San Sebastià alla Barceloneta, spiaggia nudista molto
libera, nel senso che sono quasi tutti vestiti. Dalle altoparlanti annunciano
che c’è un pericolo per i bagnanti: le meduse! Io non ne ho avvistate ma
comunque che sballo che su una spiaggia pubblica funzioni il servizio di
sicurezza anti meduse!
Quando il culetto di Bubba assume un colorito un po’ troppo shocking decidiamo
di andare via e così ci dirigiamo a casa, ma prima facciamo la spesa: scopro la
gassosa “Lima limon limao”, favolosa. Mangeremo paella cotta da me (giusto il
riso) e pesce spada. La sera decidiamo di farci un giro tranquillo per i bar
nella zona gay. E infatti il giro è tranquillo. Nel giro di pochi isolati una
decina di bar (alcuni dei quali offrono spettacoli di drag queen o performance
di artisti vari) permettono il libero ingresso, ovviamente a mezzanotte non c’è
ancora nessuno. Iniziamo dal Dietrich (come Marlene) un piccolo locale con al
centro un praticello. Ad un incrocio c’era un marchettaro… forse un po’ troppo
fuori dal contesto, o forse no. Continuiamo il giro degli altri bar in cui è
possibile entrare e uscire come già detto. C’è anche un bar per lesbiche.
Torniamo a casa.
La giornata di martedì 19 inizia con un piccolo screzio con gli altri ma io e
Bubbà imperterriti turisti manco diamo peso a ciò e iniziamo il nostro tour
seguendo l’itinerario della guida nella zona Ribeira per vedere anche la famosa
chiesa “Santa Maria del Mar” in cui è ambientato il romanzo “La Cattedrale del
Mare”, ci mettiamo alla ricerca di carrer de Montcada descritta dalla guida come
una storica via della città. Visto l’orario decidiamo di concederci le nostre
prime tapas catalane. Con punto fermo decido che il ristorante dove le avremo è
proprio quello chicchissimo visto una ventina di minuti prima, risultato: 3
tapas e due birre a 38 euro. La cosa che più ci lascia perplessi è che due fette
di pane raffermo e abbrustolito con olio e sale costano più di 4 €. Per il resto
le tapas sono deliziose: un piatt(in)o è a base di cubetti di salmone norvegese,
un altro di cubetti di formaggio e uvetta, l’ultimo contiene tre
polpette-panzarotti, l’aspetto è quello degli arancini adagiati su salsa
piccante ma al loro interno contenevano patata al posto del riso e nel cuore
della palla c’era carne macinata: la cosa più buona mangiata a Barcellona. Dopo
aver letto che la chiesa apre alle 16 e 30 torniamo a carrer de Montcada, un
vicoletto che fino al ‘700 era il cuore della città, la strada in realtà non ci
stupisce più di tanto: basti pensare che la cosa che più attira la nostra
attenzione è la fila per entrare nel museo di Picasso sito in questa strada.
Finita la strada tanto declamata dalla nostra guida ci troviamo in zona Parc de
la Ciutadella, la “villa comunale” di Barcellona come direbbe qualcuno. Qui vi è
il parlamento della Catalunya e un laghetto. La fontana con le cascate, prima
opera di Gaudì, è chiusa e in disuso. Lì fotografo una sposa vestita di bianco
sul set del suo matrimonio e Bubbà col pantaloncino rosso Espana. Il parco non è
stupefacente e così sotto il sole delle 4 del pomeriggio (e passando davanti al
Museo della Cioccolata) torniamo alla tanto agognata chiesa di Santa Maria del
Mar: l’entrata che prendiamo è quella dietro l’altare, quindi già all’ingresso
noteremo il rosone e le splendide vetrate. La chiesa è medioevale: alta e larga
ma al tempo stesso raccolta, si dice che i viaggiatori che ancora non avessero
visto la Seul scambiavano questa per la cattedrale di Barcellona. In chiesa ci
riposiamo un po’ leggendone la storia: un particolare interessante è che ai
monarchi spagnoli non è mai stato concesso di sposarsi in questa chiesa seppure
avessero fatto, nel corso della storia, più volte esplicita richiesta alle
autorità catalogne. E’ il sesto giorno che ci troviamo in terra spagnola ma pur
essendo nemmeno a metà vacanza spediamo le cartoline, un record considerando che
di solito tale affare lo si sbriga l’ultimo giorno. Capiamo che è anche il
momento per dare uno sguardo ai souvenir da portare e ai cadeau da concedere a
noi stessi. Capiamo che le Ramblas sono la zona più cara e più stressante per
effettuare acquisti, anche se poi c’è una grossa concentrazione di negozi per
souvenir, tutti gestiti da indiani e/o pakistani che parlano italiano (o,
meglio, napoletano) e che ti danno da parlare anche se guardi solamente. Si
parte da un prezzo e si può arrivare anche alla metà. Le trattative però
risultano stancanti e anche comprare un perizoma (:D) diventa faticoso complice
anche l’insolenza dei commessi.
Prima di tornare a casa un po’ di spesa con l’acquisto delle immancabili gassosa
e Sant Miguel. Mangeremo frittura mista (compresi i ravioli etnici trovati per
la prima volta in un minimarket e che poi vendevano anche di notte sulla Rambla)
e carote all’insalata. Dopo cena ci mettiamo sul letto e tra una chiacchierata e
altro (…) ci addormentiamo: lo stile di vita prevedente l’uscita serale dopo la
mezzanotte fornisce un alibi per un dopocena di relax. Ma per noi che non siamo
abituati ad uscire tutte le sere dopo le 12 risulta un po’ forzato stare a casa
ancora alle 10 (per strada c’è poca gente a quell’ora) .
Ci risvegliamo sicuramente più riposati e dopo il nostro caffè (portato da
Napoli insieme alla macchinetta) iniziamo il nostro giro al Barrio Gotico per
vedere una chiesa “Santa Maria del Pi” che prende il nome dal pino che si trova
nella piazzetta antistante la facciata. In questa piazza c’è un bellissimo
palazzo seicentesco. La piazza attigua, San Joseph Oriol, è anch’essa molto
carina: ci sono dei ristoranti e un negozio di borse belle ma care, li nei
pressi c’è anche una galleria commerciale. Decidiamo di visitare il Palazzo
della musica Catalana. La visita guidata (obbligatoria per entrare, noi la
scegliamo in inglese) è alle 14 e 30, non avendo pranzato ci rechiamo al
supermercato DIA più vicino dopo aver visitato il mercato al chiuso di Santa
Caterina. Compriamo del pane, del prosciutto e del formaggio e ci facciamo una
colazione a sacco “pret a manger”. Francesco sarà colto in una danza da un
dipendente del supermercato, che scena fantastica…
La visita al Palau de la Musica Catalana è molto interessante, dopo aver visto
un filmato di 12 minuti sulla storia del palazzo e contenente interviste degli
artisti viventi che l’house music ha ospitato c’è il tour del teatro.
All’interno è davvero allucinante, coloratissimo e pieno di dettagli. La guida,
Francesca, parla un inglese bellissimo e comprensibilissimo. Folgorati da tanto
splendore ce ne torniamo a casa passando per i souvenir e il supermercato. Cena
con risotto ai funghi insapore (colpa dei funghi) e uovo al tegamino. Visto che
ci sto preparo anche la frittata di patate per domani. Il solito dopocena a base
di sconcerie e poi una cosa fichissima: lo schiuma party. Costume e infradito
sotto maglia e pantaloncino e via: all’Arena Classic si paga 12 euro con
consumazione, ci si spoglia dopo la fila alla cassa e si rimane in costume (o in
mutande). Per chi non ne è provvisto sono a disposizione anche degli infradito.
Entriamo tra i primi dopo aver atteso l’apertura del locale ma la zona con la
schiuma è ancora in via di riempimento: da qui a pochi minuti il cannone
sputa-schiuma la riempirà del tutto con schiuma fino all’altezza di un metro e
mezzo circa e il livello continuerà a salire fino ad assestarsi ad altezza
collo. Alle due il locale è zeppo di ragazzi, ci sono anche molte coppie etero.
Il divertimento assoluto si ha nella confusione sotto la cascata di schiuma,
gente goduriosa si trova negli angoli e ovunque non si sa cosa succede sotto la
schiuma… il tragitto per i bagni è lungo ma è divertente camminare con la
schiuma addosso. Anche qui ovviamente non conoscono i cocktail e alla mia
richiesta di rum e coca mi viene data della cocacola, mi verrà poi spiegato che
qui si dice coca y rum. Vabbè. Restiamo li circa tre ore, le più delle quali
divertenti, solo verso le 3 e mezza la schiuma comincia a fare condensa e così
ci si ritrova in una grossa vasca di un liquido non ben identificato (bleah).
Usciamo praticamente asciutti (e pulitissimi) dal locale dopo esserci vestiti in
bagno: li assistiamo a una scena bellissima. Un ragazzo in costumino (ino ino)
nero grida ad uno sotto alla porta “bello! Famm appiccià!” l’altro lo guarda
attonito e così lui prosegue “fuego!”, nel locale c’era mezza Napoli, la metà
peggiore però.
Il giorno del 21 inizia con la preparazione dei quattro (noi due con M&S) per
andare al Montjuic. M&S scenderanno per primi ma li incontreremo sulla
funicolare. Dopo la funicolare ci aspetta la teleferica. Chiediamo prima
informazioni ad una signorina (bruttissima) al centro informazione per turisti e
Mimmo esordisce “per andare da qui a qui (indica sulla mappa) possiamo a andare
a piedos o mezzos (mezzi pubblici, intendeva)?”. Arrivati sulla sommità della
collina c’è il castello aperto al pubblico che è una sorta di museo militare a
cielo aperto. La giornata è uggiosa davvero, ma il panorama permette di
distinguere bene le zone di Barcellona e ci fa scoprire il lato commerciale
della città: il porto commerciale che si trova oltre la collina rispetto al
centro cittadino. Manco a dirlo ordinatissimo. Lì io e Bubbs perderemo di vista
M&S che non si lasciano scappare l’orto botanico. Noi optiamo per la Fondazione
Mirò. Un complesso eretto in onore dell’artista catalano famoso per le sue
(inconcepibili) linee. La mostra temporanea offre opere di luci e specchi,
quella permanente le opere di Joan Mirò. Seppur tecnicamente bravo si è concesso
molto all’arte moderna incentrando molte sue opere su pochi soggetti: la donna,
gli uccelli e gli ombrelli. Ci lasciano basiti tre tele enormi messe in una
stanza, una per parete tranne quella d’ingresso, le tre tele sono dipinte di
bianco (anche maluccio) e al centro di ognuna c’è una striscia di pittura nera
fatta visibilmente a mano che segue una diagonale: titolo “la vita del
condannato” (o roba così). Ora, io amo l’arte contemporanea ma i quadri di Mirò
non mi hanno mai suscitato altro che perplessità. E’ l’unico famoso artista
moderno che davvero non mi suggerisce interpretazioni per le sue opere. E con
questo museo me l’ha confermato. All’uscita ci fermiamo in un giardino fatto a
gradoni. Li pranziamo e poi ci dirigiamo verso il palazzo de la Historia de la
Catalunya, pieno di esposizioni un po’ pallose, diciamocelo. Scendendo le scale
antistanti il palazzo (ci sono anche quelle mobili!) si arriva alla grossa
fontana che nel fine settimana costituisce un’attrazione turistica detta
“fontana magica”. La fontana è spenta ma sono visibili i grossi e numerosi
ugelli. Continuando a scendere si arriva a Plaza Espana, una grossa piazza
incrocio di molte vie a veloce scorrimento. Qui si trova una arena per le
corride a mala pena citata nella guida. Dietro la piazza si trova un parco, un
po’ degradato e solitario, alla memoria di Joan Mirò. Nello spiazzale attiguo
alle aiuole c’è un’opera dell’artista chiamata ovviamente “donna e uccello”
(sennò come!?). Un altro riferimento a Mirò e sulla Rambla, altezza teatro Liceu:
a terra c’è un mosaico fatto con sanpietrini colorati e grigi che ricalca
un’opera di Mirò.
A casa ci riposeremo viste le lunghe camminate e avremo per cena pasta e fagioli
(discreta considerando che i fagioli erano quelli nel barattolo) e costolette di
maiale. Chiude la crema catalana del supermercato. Dopo lo “sfogo” di ieri ci
concediamo una serata in giro ma tranquilla (si fa per dire): giriamo per il
Barrio Gotico (mai visto di sera finora) e, camminando camminando, arriviamo al
Porto Olimpico intravisto la sera della festa sulla spiaggia. Prima di arrivare
al pesce di rame si affacciano sulla spiaggia dei locali spettacolari: tra bar e
ristoranti tutto è molto chic. Continuando più avanti si arriva ai saldi del
divertimento: proprio nel porto una ventina di locali discobar si susseguono con
petulanti invitanti e grossissimi buttafuori al loro uscio. La musica è
commerciale e sempre uguale. Alla fine dei locali iniziano i ristoranti con menù
a base di pesce. Non è il massimo della raffinatezza ma le luci rendono il tutto
più suggestivo. Il ritorno verso casa sarà come al solito molto lungo.
Il giorno 22 cade di venerdì, avevamo pensato di andare a Sitges famosa meta
turistica di mare nota anche per l’alta frequentazione gay. Pronti con i nostri
nuovi pantaparei e costumi (ah no,i costumi non li avevamo, poco male) e
asciugamani andiamo a plaza Catalunya per vedere dove si parte. Al centro
informazioni ci mandano alla stazione degli autobus in zona Arc de trionfo. Ma
li ci viene detto che non ci sono autobus per Sitges ma solo treni in una altra
stazione a nord ovest. Abbandoniamo l’idea e ce ne andiamo a mare, playa de la
Mar Bella. Da ieri il cielo è nuvoloso e la nostra giornata di mare inizia
ignudi sotto le nuvole e si conclude ignudi sotto la pioggia. Ce ne torniamo a
casa tanto per i souvenir abbiamo ancora parecchi giorni (ma poche idee!).
Torneremo a casa dopo la spesa e complice il vocione di Bubbà e il forte
desiderio di ordine scateniamo le ire del Salvatore dormiente, famoso essere
mitologico. Dopo cena ripieghiamo (dovevamo essere a Sitges) sulla Fontana
Magica. Una folla di turisti esagerata occupa le scale del palazzo e tutti i
marciapiedi da Piazza Espana fino alla fontana: alle 9 puntuale inizia lo show:
sulla musica di Strauss prima e dei temi di Titanic e di Via col vento poi la
fontana spruzza acqua in modo da ottenere tutte le forme possibili illuminata da
luci colorate. Lo spettacolo è, a tratti, suggestivo ma fin troppo banale. Si
chiude (udite udite) sulle note di Barcelona di Freddy Mercury e Montserrat
Caballè, cantante lirica così chiamata perché è grossa quanto il promontorio del
Montserrat (hihihi). Negli ultimi minuti dello spettacolo mi esibisco anche io
con l’accendino ottenendo gli stessi effetti spegni-accendi della fontana (ma
che bravo!). E’ un tantinello presto per la movida ma ci dirigiamo a piedi verso
l’università per entrare in qualche bar. Tutti chiusi. Inizia a piovere e ci
infiliamo in metro per tornare a casa. Fuori la nostra fermata (Parallel) ci
sorprende un diluvio che ci inzuppa dalla testa ai piedi. Allora restiamo a casa
a bere birra (Sant Miguel ovviamente).
Arriva il secondo e ultimo sabato nella capitale della catalogna. Oggi ci si
dedica ai souvenir. Ma sono tutti chiusi (ovviamente non sulla Rambla). In zona
Jaume (piazza dove fanno le esibizioni delle torri umane) troviamo un negozio
con delle ceramiche carinissime e così partono i primi veri acquisti, la
giornata da turisti però va onorata e allora “itinerario Rambla”!: le ramblas
sono 4, la prima è degli uccelli, la seconda dei fiori. Le altre due non ricordo
ma niente di che. A seconda la zona del viale ci sono bancarelle e statue umane
a tema. Strepitoso l’uomo ricoperto di vernice rosa e di fiori ovunque, mai
vista statua umana più gay. Nel nostro itinerario ci infiliamo anche un giro al
mercato al chiuso della Boqueria: uno spettacolo straordinario, odori e colori
si mescolano, frutta e pesce freschissimo con salumi stagionati. Compriamo un
chilo di cozze e le fragole.
Un tardo ma lauto pranzo ci aspetta con bolognese (sugo pronto ovviamente) e
impepata di cozze da leccarsi i baffi (fatta da Bubbà). Dopo pranzo giusto il
tempo di digerire e poi ci prepariamo per andare a Sitges.
Alle 17 scendiamo di casa tutti e quattro: non sappiamo a che ora torneremo ne
come. Sitges si trova nella zona 3 di Barcellona. Mezz’ora di treno e siamo li.
Scopriamo che esiste un autobus notturno: la scelta del ritorno è tra il treno
delle 22 e 40 o un autobus notturno che passa ogni ora. La signora delle
informazioni ci dice dov’è che parte l’autobus e che alle 23 ci saranno i fuochi
d’artificio sulla spiaggia. Iniziamo a girare per il paese ma già entrati nel
primo vicolo troviamo un bel po’ di folla. C’è aria di festa e la folla è
frenetica, non lontano si sentono tamburi: ci avviamo verso di essi fino a
ritrovarci senza comprenderlo appieno in un inferno. Bande musicali i cui
musicisti indossavano abiti tipici sono accompagnate da statue di cartapesta
adornate da giostre di petardi accessi che lanciano zampilli incandescenti, il
fumo crea un po’ di panico ma alla fine il divertimento la fa da padrone. Dopo
aver assistito e filmato i gruppi di ballo (alcuni balli sono troppo fichi!) ci
allontaniamo dalla strettezza dei vicoli tendendo verso il mare. Nella discesa
ci fermiamo prima in un sexy shop e poi in un minimarket dove compriamo
dell’acqua ma soprattutto del Cava in bottigliette da 25 cl, un vino frizzante
della catalogna emule di spumante e champagne. Ci fermiamo sul lungo mare che è
raccolto e familiare, il marciapiede da sulla spiaggia con un parapetto di
pietra bianca che sembra quello delle scenografie delle “Domenica in…” di
Boncompagni. Ci sciroppiamo tutto il Cava e un po’ incapocchiati ci andiamo a
vedere la chiesetta sulla collinetta di fianco al lungo mare, qui dicono messa e
io mi siedo e assisto a un po’ della liturgia in castigliano. Superata l’altura
si entra nel porto dove troviamo delle bancarelle, qui Bubbà mi regala un anello
di ematite (color canna di fucile) che messo al medio sta benissimo accanto a
quello d’argento dell’anulare cui è molto simile. Anche qui non ci facciamo
mancare il gay tour e alla fine decidiamo di mangiare qualcosa ma stavolta
invece di ricevere un buco in petto decidiamo di mangiare in un ristorante
turistico. Qui le tapas servite sono semplici panini, secondi e contorni che
appartengono anche alla nostra cucina. Dopo cena convinciamo M&S a rimanere per
assistere ai fuochi e di non prendere l’ultimo treno. Iniziamo poi il giro dei
club (avevamo una mappa presa a Barcellona) ma sono ancora chiusi. Capitiamo di
qui a poco nella stradina principale che scende verso il mare: ci sono molti bar
ma uno cattura la nostra attenzione, si trova in una sorta di piazzetta data
dall’incrocio di due strade ed ha due ingressi uno di fronte all’altro, davanti
ad ogni ingresso ci sono 8-10 grossi ombrelloni pelosi coloratissimi e tutte le
sedie sono rivolte al centro della strada come facenti parti di una platea. Ci
accomodiamo e finalmente troviamo una lista di cocktail “cristiana”, io prenderò
un margaritas e bubbà un cosmo. Il conto tarda ad arrivare mentre si odono poco
distanti gli scoppi dei fuochi. Pagata la cuenta arriviamo al lungomare: mai
vista tanta gente dopo la prima notte bianca di Napoli. I fuochi sono davvero da
togliere il fiato e riesco persino a catturarne alcuni dei migliori in un
videoclip, durano anche parecchio, circa mezz’ora. Decidiamo allora di darci
dentro con il giro turistico per locali: tutti hanno su la scritta “only men”,
che goduria ostracizzare “le femmine”. I locali sono perlopiù bar, tutti
piuttosto piccoli. Un paio hanno le dark room e tutti hanno le doppie porte
all’ingresso. Alcuni sono vuoti, un paio pieni come uova. Uno, l’”Azul” aveva
sparso in strada fuori all’ingresso del glitter (porporina) argenteo e,
ovviamente, io non ci ho visto più. E’ bello entrare e uscire dopo aver solo
dato una occhiata, tante volte invece di entrare restiamo chiusi tra la prima e
la seconda porta e cacciamo la testa all’interno per vedere che aria tira dentro
e così ad un bar di bear (orsi) U bubbs chiude la porta in faccia a un orso che
gli dice di entrare. La frequentazioni a Sitges non sono proprio di primo pelo,
diciamo così.
Abbiamo l’autobus alla una e 10 minuti, mancano 20 minuti così ci dirigiamo
verso la fermata. Una folla occupa la pensilina così ci sediamo un po’ distanti
pronti allo scatto per assicurarci un posto a sedere. L’autobus tarderà di più
di mezz’ora e si assisterà a scene di panico all’apertura delle porte, noi
ovviamente saremo i primi a salire da buon napoletani ma non sarà una impresa
facile soprattutto per Salvatore che dovrà vedersela con una chica alticcia (e
un po’ troppo puttanella). Con il navigatore seguo il percorso dell’autobus che
impiega quasi un’ora ad arrivare a plaza Catalunya. Alle 2 e mezza di notte un
ultimo colpo di testa: fast food Burger King. Ma mangeremo a casa.
Siamo già arrivati al giorno 24, penultimo giorno intero a Barcellona, è
domenica e decidiamo di fare un pranzo a casa. Così ci diamo appuntamento con
M&S fuori al supermercato DIA per fare un po’ di spesa. Facciamo l’ennesimo giro
di souvenir al barrio gotico e Jaume e inauguriamo la pasticceria accanto al
negozio dove trovo un plausibile souvenir per mia mamma: una collana
sbrilluccicante (come al solito). Essendo domenica la maggior parte dei negozi
sono chiusi. Ci dirigiamo a Port Vell e da fuori vediamo che al di la della
“Rambla del mar” c’è l’acquario, un centro commerciale e un multiplex. Tornando
verso casa troviamo delle bancarelle dell’usato sotto la statua di Colombo.
Puntuali all’appuntamento troviamo però anche il supermercato DIA chiuso. Non ci
scoraggiamo e andiamo all’Opencor che è sempre aperto a fronte di prezzi più
alti. Con delle belle buste colme torniamo a casa dove prepariamo e mangiamo un
pranzo davvero “della domenica” con tanto di frutta e gelato a chiudere. Il
caffè è finito ieri e ci stiamo arrangiando con quello del El corte Engles che
fa davvero schifo. Il pranzo finisce tardi ma troviamo il tempo per riposare
prima di preparaci. La sera tutti e quattro andiamo al Porto Olimpico, vorremmo
fermarci in uno dei locali che sono sotto la balena di rame ma camminando
camminando arriviamo alla sfilza di discobar con musica commerciale. Li suderò
come un ossesso mentre entreremo e usciremo da questi locali non consumando
nemmeno un cocktail (sempre ammesso che li sappiamo fare) prendendo così la
nostra rivincita con il caro “mondo della notte” (hihihi). Ci fermiamo alla fine
nell’unico pub del porto, all’esterno ovviamente. Anche qui come a Praga nei pub
non servono noccioline, pistacchi e patatine accanto alla birra ma su richiesta
ti portano delle buste confezionate. La strada verso casa sarà ovviamente lunga
e dolorosa ma proverò l’ebbrezza di stare senza camicia per strada almeno quando
ci fermiamo a Port Vell per riposarci (era notte e in fondo è Barcellona).
Manca un solo giorno alla partenza ma oramai Barcellona non ha segreti per noi
che, stanchissimi, compiamo sempre lo stesso giro. La mattina del 25 servirà a
completare le compere di souvenir, approfittare della pasticceria di ieri ed a
eseguire l’ultimo itinerario della National Geographics non ancora calcato:
“l’itinerario del modernismo”, per la serie non ci dobbiamo far mancare niente…
turismo di elite. Certo questo ultimo itinerari è un po’ stancante perché parte
da plaza Catalunya e si spinge ai limiti di Passeig de Gracia ma regala molte
soddisfazioni, uno perché ci fa vedere dei palazzi stupendi che altrimenti non
avremmo neanche intravisto e due perché da una idea di una Barcellona più
completa di quanto possano dare le sole Rambla e Porto Olimpico. Da Gaudì a
Dominic y Montaner fino ai loro bravi imitatori. Dopo questo giro a piedi
stancante decidiamo di tornare a casa per pranzare, lo faremo alle 16 con una
paella surgelata avanzata a M&S. Arriva il triste momento delle valigie. In poco
tempo i nostri vestiti tutti freschi di bucato (ho fatto due lavatrici al
giorno!) entrano nelle valigie tranne quelli che metteremo stasera e domani.
L’ultima sera la spendiamo alla Sagrada Familia, dove dovremmo incontrare
Rosaria, una ragazza conosciuta ad un matrimonio qualche tempo fa che lavora a
Barcellona. Rosaria non si presenta, scopriremo che avrà perso l’aereo. Un po’
scocciati per il due di picche ma soprattutto perché è l’ultima sera a
Barcellona decidiamo di tirarci su il morale con dell’ottimo pollo fritto, così
scendiamo a Liceu e andiamo al KFC di tre piani sulla Rambla. Anche qui avrò il
mio trofeo di guerra: un secchiello di cartone del KFC.
Il giorno del 26 sarà il giorno del ritorno. Ma ritorno più lungo, forse si uno,
ma sicuro mai avuto un ritorno così stressante, i napoletani in aeroporto, il
check in fatto due volte per non pagare 60 euro di sovrapprezzo per il peso (ma
dico io 15 euro a chilogrammo, e vabbè l’aumento del petrolio però questa è
speculazione!), il dover tornare da Roma col treno. Troveremo un po’ di pace
proprio nel treno, dove in uno scomparto da soli io e Bubbà (M&S hanno preso un
altro treno) ci riposiamo e ci guardiamo i souvenir. Alle 22 saremo a Napoli e
li ci aspettano i miei genitori dentro la mia mitica Farfallina che subito
voglio guidare. E così termina anche questa vacanza, fatta solo per poter poi
scriverne le cronache (hihihi), a tal proposito chiedo scusa per le tilde
mancanti sulla n (ñ) ma era troppo faticoso inserirle come simbolo ogni volta
(non potevo neanche incollare, tengo sempre qualcosa di strano nel tasto destro
da incollare e non è mai la cosa che mi serve).
A Salvatore e Mimmo che ci hanno fatto ridere molto, al vero popper di Spin,
alla Sant Miguel che quasi mi ha disgustato (molto quasi) e alla lavatrice. Alla
Lima Limon Limao e alla crema catalana che non pizzica sulla lingua. E
soprattutto all’amore Bubbà che mi ha fatto rivivere una nuova Parigi.
Praga, la città dorata
Ho deciso di resocontare il nostro piccolo viaggio
a Praga detta "la città dorata".
Ovviamente inizierò dall’incontro all’aeroporto, che questa volta è a
Capodichino, Napoli. Ci incontriamo io e Bubbà che al seguito ha Giovanna e
Antonio arrivato appena da Roma. Al check in aspettiamo Marina la nana che
arriva con Pasquale e Giuliana. Siamo pronti: con i posti assegnati dalla low
cost (finalmente niente più corse per salire sull’aereo che faceva tanto
Fantozzi) ci prendiamo l’ultima pausa sigaretta, tranne Giuliana che fumerà
anche in bagno (furba!). Io e Bubbà veniamo perquisiti al varco ma per fortuna
non ci sgamano (scherzo!), poi il volo. Atterriamo circa alle 18 e 30, subito i
bagagli e poi alla ricerca dell’autobus 100 che ci porterà in città, o meglio
alla metro Zlicin che è fuori dal complesso aeroportuale. Qui accade “il dramma”
(per Bubbà): la valigia di Giovanna perde le rotelle (e si porta al pari della
padrona :P) Bubbà si accollerà l’onere di trasportarla “a spalla” fino a casa.
Così io, Mari, Antonio e Pasquale andremo a prendere le chiavi mentre Bubbà,
Giovanna e Giuliana si avvicineranno a casa: scenderanno quindi una fermata
della metro dopo la nostra.
Appena usciti in superficie ci rendiamo conto di poche e significative cose:
1 la lingua ceca non è quasi mai abbinata all’inglese che detta in parole povere
suona così “siamo fottuti”
2 c’è un KFC, già si nota la grossa civiltà di questo posto
3 assistiamo ad uno scippo, la cosa diminuisce il grado di civiltà notato nel
punto precedente ma a questo eravamo preparati (e inoltre siamo abituati) quindi
restano civilissimi per me
Arrivati a Zubatheo 11 prendiamo le chiavi in questo ufficio ordinatissimo e
pulitissimo sorretto da armadi di chiavi. Prese le chiavi degli appartamenti
arriviamo dai tre che ci aspettano a Karlovo Namesti (piazza Carlo). Gli
appartamenti non sono lontani da li. Si trovano in via Naplavni numero 2, in
Novè Mesto (città nuova), in un signore palazzo che da sul fiume. Ci sembra
incredibile. E non ci sembra vero quando entriamo negli appartamenti che
affacciano sul Moldava con balconi ampi, ogni appartamento oltre ai servizi
(cucina + wc + stanza da bagno) ha due stanze enormi una con due letti e una
imperiale con tre letti e un tavolo con sei sedie. Tutto è pulitissimo con
parque e pareti da poco rinfrescate. Il tempo di disfare le valigie di riempire
gli ampi armadi e scendiamo per cibarci ed avere il primo impatto con Starè
mesto, la Città Vecchia. Che lo dico a fare: andiamo al KFC in via Narodni
vicino al teatro nuovo fatto (secondo me) con televisori vecchi di risulta. Con
l’animo rincuorato da tanta bontà ci incamminiamo verso la parte vecchia della
città e il suo fulcro, la splendida piazza della città vecchia che ha un nome
impronunciabile. Tutto qui ha un nome che sembra un codice fiscale. Arrivati
alla piazza osserviamo l’orologio astronomico che funzione però sino alle 21 e i
bellissimi palazzi in ognuno dei quali è successo qualcosa degno di nota.
Notiamo ovviamente i negozi di cristalli di Boemia e di “Swarovski”. Il più bel
panorama è però quello che si osserva dal lungo lago guardando verso il ponte
Carlo e il castello che sormonta Malà Strana.
Distrutti andiamo a casa. Io e Bubbà abitiamo all’appartamento 42 al quarto4°
piano, gli altri al 52 al quinto piano. Domani arriveranno Peppe e Emanuela che
saranno con noi al 42.
Il risveglio nella sala imperiale del 42 è dei migliori, c’è una città
bellissima da scoprire (che mi ricorda Parigi e in particolare Le Marais, il mio
quartiere preferito), ci facciamo il caffè con la macchinetta che ci siamo
portati dietro (insieme al caffè ovviamente) io e Bubbà ci prepariamo per andare
a prendere Peppe e Emanuela alla metro Karlovo Namesti. La Compagnia dell’anello
è al completo (siamo 9 infatti) e inizia il vero primo giro. Lungo il Moldava
arriviamo al ponte Carlo ma invece di attraversarlo entriamo in Starè mesto, lì
guardiamo il cambio dell’ora dell’orologio, le chiese nella piazza e la torre
dell’orologio. Il pranzo avviene al ristorante Arena, carne e cose strane del
tipo gnocchi non conditi a forma di fette di galbanino vengono serviti con
crauti e ricoperti di salette tipo quella di soia, la winchestern e il tabasco.
Insomma per me uno strazio, gli altri gradiscono. Almeno placo la fame e mi
sazio. Si è fatta una certa ora e decidiamo di andare a visitare il cimitero
ebraico che però ha appena chiuso, ci verremo domani, girando ci ritroviamo
manco a dirlo nella piazza della città vecchia poi torniamo a casa. Pausa per un
po’ di spesa, che però diventa una spesa di un’ora e mezza viste le code
interminabili alle casse. Il retaggio comunista qui si mostra nel rigore
dell’attesa in coda, degna di un premio alla resistenza. Pasquale inganna
l’ingannevole attesa (di una spesa corposa scelta da chi la faceva e non bensì
del semplice latte e biscotti a loro stessi necessari) scoprendo un dolce locale
tipico, che si chiama TRDLO, una specie di graffa cilindrica fatta con le patate
e poi zuccherata.
Torniamo a casa, ci riposiamo un po’, Bubbà mi porta i chewing gum “Hubba Bubba”,
ci facciamo un caffè ma manca lo zucchero allora cosa c’è di meglio che
chiederlo a Francesco che è al piano di sopra tramite finestra così come si fa a
Napoli!? “Francescooooooooooooo scinn nu poc e zuccher! E’ funnut!”
La sera decidiamo di andare a Malà Strana, la striscia di terra tra la sponda
est del Moldava e la collina del castello. E’ da poco passata mezzanotte e il
ponte Carlo si svuota sotto i nostri occhi, i pub sono pochi e uno in
particolare è strapieno, nonostante il volere dei due soliti non entriamo.
Persi, senza che nessuno se ne preoccupasse tranne il sottoscritto, Peppe e
Emanuela che sono tornati a casa troviamo per caso una festa sulla sponda del
fiume chiamato romanticamente da me “ciummamerd” (fiume di merda). Ci
spiegheranno che è la festa delle streghe, la notte tra il 30 aprile e il primo
maggio. Ci sono due o tre falò, ragazzi che suonano cornamuse e pifferi in abiti
tipici, alcune streghe e una camionetta della polizia che sorveglia festeggiando
anch’essa. La birra viene servita a 25 corone ceche, cioè due euro al litro, ed
è pure buona. Tutti fumano erba. La maggior parte di loro sono americani dei
college. Il clima è davvero suggestivo, un po’ ci perdiamo, un po’ ci
ritroviamo, si beve si mangia e un paio di loro si buttano nel fiume. Sono
strafattissimi di qualsiasi cosa. Pasquale, che sfoggia il suo inglese appena
può, si informa: viene a sapere che c’è un posto che vende questa “cosa”, gli
viene descritto precisamente il posto. Ci incamminiamo e dopo un giro largo e
venti persone fermate per chiedere informazioni (spiegando senza che ci venisse
mai chiesto ad ognuno il perché cercassimo questo posto) troviamo questo “Tulip”.
Li dentro dopo un sorso di birra (e qualcos’altro) io e Marina ci sentiamo male
(io ero digiuno), così dopo una fuggita generale con la “cosa” dimenticata sul
tavolo ma subito recuperata corriamo verso casa cercando di lasciare dietro i
ridaroli Pasquale-Francesco-Giovanna (giusto per sfuggire almeno noi ad un
eventuale arresto). A casa la ridarella sfrenata continua e la fame chimica si
fa sentire. Nutella e bigusto su pan carré e, dopo nove richieste, un bicchiere
di acqua.
La notte è burrascosa e piuttosto onirica, almeno nei miei ricordi.
La mattina siamo svegliati da Peppe che, prendendo le scarpe fuori al nostro
balcone, ci annuncia che si avvieranno (lui ed Emanuela) al castello. Oggi è
primo maggio ed è il compleanno di Emanuela. Li incontreremo solo la sera a
casa.
Verso mezzogiorno la compagnia monca è pronta per prendere la via del castello.
La via è lunga, la meta viene raggiunta solo dopo il tentativo (fallito) di
Marina di vedere quante più chiese possibile (esiste una giustizia divina), di
un TRDLO, di una lunga sosta di Giovanna e Antonio nel negozio natalizio sulle
scale per il castello.
Il castello: 600 metri di casermone illuminato benissimo di notte. L’attrazione
principale della città. Un complesso costruito in varie epoche costituito
essenzialmente da una chiesa bellissima (cattedrale di San Vito, gratis), la
chiesa di San Giorgio, le abitazioni reali e una cittadella il cui cuore è il
Vicolo d’oro, una stradina prima abitata dagli arcieri del re poi dai mercanti
di malaffare e in cui sono ambientate leggende circa l’alchimia.
Il castello in se è un po’ deludente, per i contenuti ma soprattutto per la
struttura per niente medioevale e poco suggestiva e non vale i 10 euro
dell’ingresso.
Finita l’entusiasmante gitarella al castello minacciata dalla pioggia con il
nostro mal di piedi torniamo alla città vecchia. Scendendo da Malà strana scopro
il Caramel Creme di Starbucks, un frappè vanilloso e caramelloso. Cerchiamo il
KFC ma quello nel quartiere ebraico è chiuso così di nuovo a quello di Narodni.
I piedi dolgono. E’ possibile che tutta una città, tutta, sia pavimentata con
ciottoli grossi e irregolari? I praghesi hanno i piedi foderati di cuoio? Con
entrambe le mie paia di scarpe non riuscivo a camminare e per due giorni
sembravo uno zoppo.
Dopo il KFC torniamo a casa a riposarci. E inutile a dirlo a fumare e a ridere.
Di cosa? Beh un po’ di tutto ma soprattutto di una cosa.
Preparati in tutta fretta scendiamo per una birra. Prima passaggio al Tulip,
ormai nei nostri cuori, e poi alla solita piazza con l’orologio. Ci infiliamo in
una birreria e li scopriremo che le patatine, i pistacchi e gli arachidi vengono
serviti solo se richiesti e sempre e solo in confezioni industriali sigillate.
Molto sconvolti e ovviamente stanchi arriviamo a casa.
Io imperterrito mi impunto: ora si scrivono le cartoline, acquistate il primo
giorno e mai compilate. In compagnia di un bicchiere di latte e biscotti e di
Bubba che mi guardava c’ho messo più di un’ora a scrivere tre cartoline con solo
5 frasi che ruotavano in maniera random. Le tre cartoline diventano poi, per
copia, 7.
La sveglia il giorno dopo non suona, perché non è stata messa. Ci svegliano le
voci melodiose di Peppe e Marina, un veloce caffè e poi di filato al quartiere
ebraico a visitare sinagoghe e cimitero ebraico. Tutto è si molto triste, ma
anche perché a pagamento vengono esibite tombe multistratificate e macabri
disegni di bambini ebrei al tempo dell’olocausto. Le sinagoghe visitate non
entusiasmano, tranne la spagnola. Tutte vengono usate per allestimenti di
reperti ebraici restituiti dallo stato alla comunità ebraica in seguito alla
caduta del muro di Berlino. Decidiamo di non entrare nella sinagoga Vecchionuova.
Una delle due sinagoghe funzionanti a Praga. Indovinate dove siamo andati? Alla
piazza della città vecchia obviously. Un pranzo veloce in un fast food con il
bracciuto proprietario multilinguo. Voi pensate sia possibile parlare a un Ceco
mentre è impossibile farlo a un sordo. Beh si è così, però se i cechi parlano
italiano è meglio :D. Iniziamo il nostro tour souvenir. Tutti eravamo decisi a
concludere, e presto. Per fortuna concludo prima che un forte “attacco di
viscere” mi coglie. Corro a casa e li dopo essermi “liberato” mi addormento. Mi
sveglia Bubba che entra con Peppe e Emanuela (io dormivo!) con un portachiavi
con Porceddu che uso come portachiavi per le chiavi di Farfallina. Invece di
dormire decidiamo di “tagliare” l’erba al piano di sopra. E lì altre risate.
Dopo lo scompiscio sfrenato arriva il momento atteso da tre giorni: U Fleku, la
più famosa birreria di Praga e della Repubblica Ceca. Ci entriamo ma l’ambiente
adulto di veri bevitori non ispira la compagnia. Io invece avrei assaggiato la
birra scura che distillavano nel retrobottega e ancora una volta sono piegato
alla volontà dei soliti. Ma tant’è, ci tornerò da solo un giorno. Ci riduciamo
in una zona limitrofa a Karlovo Namesti in una birreria carina ma con le solite
patatine in busta. Che CHIP(s) ahahahahah. Il giorno dopo sarà giusto lo
spostamento verso l’aeroporto, degno di nota il mistero delle chiavi sparite al
piano disorganizzato: alle 10 nessuno era pronto e le chiavi le aveva Antonio
che era andato a comprare la maledettissima e creacasini colazione
(indispensabile per i soliti). All’aeroporto pranzo ad un fastfood, ultimi
souvenirs per gli ultimi ritardatari e il volo in cui mi procuro due ematomi per
il capoccione pesante di Francesco e non leggo neanche i racconti sul Golem
comprati e sottrattimi da Marina.
Qui finisce la nostra avventura praghese, la mia seconda esperienza in comitiva.
Diciamo che alla luce di tutto e a mente fredda consiglio Praga, ma non di
visitarla in gruppi maggiori di 4 persone. Sicuramente non in 9 persone. Che poi
è una regola generale. Consiglio Praga alle coppie (ma non accompagnate sennò
meglio stare a casa) e a chi ama le belle città, tipo Vienna, il divertimento
c’è, basta cercarlo.
Scemeggiate varie
Sono di Napoli anche se...
In un paio di giorni ho ricevuto circa 10 volte la stessa email...in originale, inoltrata una volta, inoltrata due volte, inoltrata tre volte, spesso modificata.
Ora dico BASTA
Non è la prima volta che accade una cosa del genere. Ma è la prima volta che la parte giovane di Napoli manifesta il proprio "orgoglio napoletano" in questo modo. Con un tono un po’ polemico ma ironico rispondo che io non ci sto. Essere napoletano per me vuol dire molto più di alcune di quelle cose scritte li dentro e l’esatto contrario di alcune altre.
Insomma è possibile che questo orgoglio si manifesti sempre e solo a parole e solo nei momenti del bisogno?
SEI DI NAPOLI se in disco o in qualsiasi altra situazione in cui stai bene dici' STO PARIANN A PAZZI'.
Sono di Napoli anche se dico solo “comm sto pariann”
SEI DI NAPOLI se sei stato male dopo un 'panino completo' di Giggino strafogato alle 5 di mattina.
Sono di Napoli anche se al mattino dopo una notte brava io non ho mai fame, tutt’al più sete. E poi perché bisogna per forza andare da giggino o al tico o al ciottolo per concludere una serata? Per essere considerati di Napoli? O per creare ingorgo a via marina? Li butterei tutti sotto con la macchina!
SEI DI NAPOLI se dici che quelli del liceo umberto sono' chiattilli'.
Sono di Napoli anche se lo dico di gran parte delle persone di Chiaia e molte del Vomero.
SEI DI NAPOLI se sei andato a comprare il fumo dalla sposa ai quartieri spagnoli.
Sono di Napoli anche se l’ho sempre preso altrove.
SEI DI NAPOLI se dici lacchiesa con la doppia c...
Sono di Napoli anche se ho una buona cadenza (ma poi lacchiesa chi? Rita dalla chiesa?).
SEI DI NAPOLI se i friarielli ti piacciono di più con la sasiccia nella marenna.
Sono di Napoli anche se i friarielli mi piacciono di più con il limone da soli. Accanto alla salsiccia poi preferisco le patatine fritte.
SEI DI NAPOLI se litighi con tutti quando sei bloccato in tangenziale.
Sono di Napoli anche se non sono una persona irascibile.
SEI DI NAPOLI se chiami il tuo scooter 'o mezz'.
Sono di Napoli anche se non ho mai avuto (ne desiderato) uno scooter. E se l’avessi avuto gli avrei dato un nome.
SEI DI NAPOLI se hai riso al cinema alle battute di siani nel film natale in crociera.
Sono di Napoli anche se pur adorando Siani non vado a vedere Natale in crociera.
SEI DI NAPOLI se pensi ke nn ci sia niente di meglio che prendere il sole a mergellina sugli scogli con la birra fredda e il tarallo caldo.
Sono di Napoli anche se al sole di mergellina preferisco il chiaro di luna da Posillipo.
SEI DI NAPOLI se almeno una volta hai messo lo stereo a palla per cantare le canzoni di Nino D'angelo.
Sono di Napoli anche se preferisco il Nino D’angelo attuale e comunque in auto mi diverto di più con Gennaro D’auria.
SEI DI NAPOLI se a volte chiami 'lote' gli amici che ti hanno fatto un torto.
Sono di Napoli anche se non dico parolacce.
SEI DI NAPOLI se allo stadio o sul divano di casa urli di gioia tt sudato quando lavezzi segna un goal.
Sono di Napoli anche se, pur tenendo per il Napoli, non sono propriamente tifoso.
SEI DI NAPOLI se ci rimani male quando il resto d' Italia pensa che ci sia solo MONNEZZA.......
Sono di Napoli anche se penso che se c’è tanta “monnezza” non è solo perché c’è la camorra ma una mentalità cammorristica in quasi tutti. Ci sarà ancora immondizia per molto tempo: tanta gente non sarà mai pronta alla differenziata anche se muore di tumore.
Sta per tornare
Con un giorno di anticipo
Era previsto per il 14. Parlo dell'inizio della mia fantomatica dieta. Oramai un evento. Invece ho deciso di iniziarla oggi domenica 13. Perchè? Perchè le diete non si iniziano il lunedi, non si programmano. Devono iniziare quando si ha l'esigenza fisica e la propensione mentale (o anche sconforto morale con una punta di voglia di rivalsa).
La mia dieta sarà una dieta ipocalorica di 1800 chilocalorie giornaliere anzichè le solite 1500 per le prime settimane (sennò sverrò, lo so) con rotazione casuale di tipi di carboidrati, di proteine e di grassi. Cioè mangerò tutto, ma tutto molto poco. Con questa dieta ho perso fino a 10 chili in passato ed è anche l'unica che abbia mai funzionato su di me. Non credo nelle diete dissociate (come si fa senza neanche 20 grammi di pane ad accompagnare la carne?) ne in quelle in cui oltre a sopportare la fame devi anche dedicarti alla ricerca dell'alimento più giusto. Perchè l'ho resa pubblica? Per motivarmi: vedete, nonostante io sia un pachiderma sto bene con me stesso però so che non posso lasciarmi andare così.
Ebbene, datemi un secondo che mi vado a pesare...
Eccomi, ora posso dirmi davvero motivato ad iniziare una vera dieta ipocalorica, molto ipo. Sono alla soglia dei 90 kg! Peso 89 chilogrammi! Il mio massimo storico. Non so quanti chili vorrò perdere, ma devo rientrare nella mia media almeno (a marzo scorso ero 74 chili). Gli altri numeri non ve li metto perchè mi vergogno.
Incrociamo le dita.
Ritorna la "sigla"!
La notizia bellissima era rovinata da un particolare della notizia stessa. Un mio mito, Lorella Cuccarini, torna in tv. Il particolare increscioso è che torna con La sai L'ultima? vecchio programma che partito benino negli anni 90 è andato sempre più degenerando in termini di appeal e di ascolti. In più sarà affiancata da Massimo Boldi. Insomma un ritorno non proprio glorioso considerando che manca dalla tv dal 2003.
Meglio che niente, vuol dire che ogni tanto, di martedì, mi sarei collegato su canale 5 per vedere cosa vuol dire condurre un programma, cosa che tranne uno o due casi non è più possibile osservare nella tv italiana.
Così come si mangia una caramella quando si ha la bocca amara così ho vissuto la nuova notizia (che in realtà "sentivo" un pò nell'aria). Lorella ritorna con una sigla cantata e ballata come negli show storici della tv. E ad annunciarlo è la stessa Lorella:
"Non ho nessun problema a dirvi che nel programma
non ci sarà il balletto anche se ho sperato di poterlo inserire, nonostante i
tempi ristretti.
In compenso, sto realizzando a tempi record, insieme a Luca Tommassini, una
sigla che spero sia davvero speciale."
da http://www.davidemaggio.it/2008/01/10/lorella-cuccarini-su-dm
Insomma, niente balletto, niente ospiti musicali, niente cose nuove, è solo La sai l'ultima?. C'e di buono però che possiamo sperare in una nuova Io ballerò o La notte vola. Resta però il dubbio visto il coreografo...Ai posteri l'ardua sentenza.
Ultimo post del 2007
Non nascondo che quest'ultimo giorno dell'altro mi ha sempre messo una grande tristezza addosso, è una cosa molto strana, più che al compleanno sento che il tempo scorre, dovremmo darci gli auguri stasera dal vivo o a telefono e da domani datare le giornate con "2008". Una cosa molto strana è che stanotte ho sognato e mi ricordo cosa ho sognato, la cosa è anche molto buffa (non ridete troppo però) per quello che ho sognato. Ho sognato di essere incinta... eheh si... proprio così. Forse perchè tutti mi prendono in giro per la panza che è lievitata quest'anno a dismisura, forse perchè stanotte dormivo col pigiamino salito su sulla pancia o forse perchè inconsciamente penso che il nuovo anno sia una (ri)nascita. Non lo so... però so che non voglio essere triste e nemmeno malinconico. Allora per esorcizzare questo stato d'animo ho messo su i concerti in dvd delle mie cantanti preferite e sono tornato ad essere il bravo pasticciere di una volta. Ho deciso: OGGI STRUFFOLI. Ho cercato la vecchia ricetta di mamma e mi sono messo all'opera documentandola con foto. Traetene vantaggio perchè i miei struffoli (è la prima volta che li faccio io da solo) sono davvero buoni, i migliori che abbia mai mangiato (e forse non vincerli da Marina è stato meglio! non li avrei fatti io)
Di seguito vi illustro la ricetta con tanto di foto. Io ci ho messo poco più di tre ore, ma sono piuttosto rapido (anche se mi sono intalliato un pò a causa di Celine Dion).
Gli struffoli
300 gr di farina, tre uova, 3 cucchiai di zucchero, 250 gr di miele, una bottiglina di liquore Strega (meglio due!), e confettini per guarnire (anche ciliegine se ne avete).
Fate un cerchio con la farina e ponete al centro le tre uova ,lo zucchero, il liquore, poi piano piano tiratevi la farina con una forchetta.
Quando la pasta comincia ad essere secca cominciate a lavorare la pasta con le mani, poi fate sempre con le mani delle striscioline sottili e tagliate le a tocchetti (il processo più lungo e tedioso).
I tocchetti fateli più piccoli possibile perchè poi aumenteranno il loro volume del doppio e non va bene (le cose grandi non vanno sempre bene!). Con le mie proporzioni vi ritroverete tre piatti pieni di struffoli (non ammassateli altrimenti si uniscono e spolverate prima i piatti con un pò di farina prima di usarli)
Con abbondante olio caldo friggeteli fino a farli dorare e lasciateli raffreddare in due piatti (usate la carta assorbente mi raccomando!)
Avete quasi finito! In una pentola grossa mettete a sciogliere a fuoco lentissimissimo i 250 gr di miele. Quando questo è pressocchè liquido buttate tutti gli struffoli e girate fino a che tutti i tocchetti siano bagnati di miele.
Prendete due piatti grandi e al centro di ognuno poggiate un bicchiere. attorno al bicchiere calate gli struffoli in modo da creare una ciambella.
Poi alzate i bicchieri piano piano
e aggiungete i confettini colorati a pioggia (non troppi, sono disgustosi!), vi ritroverete questo risultato
Purtroppo vi ritroverete anche una cucina intera da
pulire...
Beh, vi assicuro che sono 3 ore spese bene
e
stasera invece delle lenticchie (che vogliono dire soldini) mangeremo struffoli
che sono come i soldini ma in più hanno la dolcezza di una relazione d'amore
E così un altro anno è passato, vi faccio i miei più sentiti auguri per un anno prospero e senza problemi (per quanto possibile!) ma vi prego non fate altrettanto con me, sennò mi intristisco. Facciamo che domani sia un giorno come un altro... ok?
(e mentre mi intristisco mio padre fa il rattuso con Mariah Carey che balla e canta sullo schermo, ma tant'è...)
Vi lascio un regalino prezioso, Celine Dion che a Las Vegas nel suo spettacolo canta in napoletano. Una delle più belle canzoni del 2007.
Buon Natale
La vigilia è sempre per me la festa vera e propria del Natale, quei preparativi della cena che durano tutta una giornata e i ritocchi al presepe e...quest'anno anche al blog... con nuove (poche) foto e il video (quello sopra).
Questo nel video in basso è invece il mio addobbo (fatto con le mie proprie mani!!!) per partecipare al concorso “Addobba casa di Marina per Natale”, il vincitore dovrebbe ricevere un piatto di struffoli fatto da Marina, ma oramai nessuno crede più a questi struffoli che sono diventati un "si si, poi li farò".
My Christmas wishes
Ed eccoci qua, finalmente Natale è alle porte e questa per molti, me compreso, è la settimana più bella dell'anno. Diciamo che se la gioca col mese di Agosto va... I regali sono quasi tutti stati acquistati: quello che di solito costituiva una tragedia per me gli anni passati quest'anno grazie a Farfallina invece è stato un piacere: giri nei centri commerciali e per le vie insieme al Bubbà di Natale (è rosso...) ovunque accompagnati dalle musiche delle feste. Mancano ancora alcune cosette ma presto rimedierò.
Qui di seguito vi posto la letterina che per la prima volta ho scritto a Babbo Natale. Dovrebbe averla già ricevuta. Non mi sono mai affidato a lui, sempre e solo alla Befana che è sempre stata puntuale e precisa. Speriamo bene.
Recensioni
Oggi vi parlo di dischi. Di tre nuove uscite, tre album che da subito ho consumato facendone indigestione. Ora a mente lucida sono pronto a parlarvene. Si tratta di tre Dive: la navigata Celine Dion, che è una delle artisti più importanti per me da anni; Leona Lewis, una giovane londinese molto bella al disco di esordio che mi fregio di aver scoperto circa un anno fa navigando a casaccio su youtube. A tal proposito se ne avete la possibilità vi consiglio di vedere il video di una sua esibizione a X-Factor, quella relativa a Summertime, la sua interpretazione del classico della musica internazionale fu giudicata come la migliore in assoluto mai vista in un talent show; Alicia Keys, non posso dirmi propriamente suo fan ma la seguo ad ogni disco e mi piace molto il suo stile.
Cominciamo con Celine che torna (anche se ha continuato a lavorare sia a teatro a Las Vegas che in sala di incisione: è di maggio l’album in francese D’elles) con un disco in inglese Taking Chances , sorretto da una importante promozione anche in Europa. Questo album si propone di svecchiare l’immagine della Diva che in troppi ancora legano a motivi strappalacrime. L’operazione è riuscita a metà. Il disco non è abbastanza “fresco” per piacere alle bimbette ma sicuramente non si ascolta più la Signora Dion. E’ come se la nuova cantante fosse a metà strada tra la vecchia Dion e un qualcosa di nuovo ma non ben definibile. Le canzoni belle però ci sono, solo che sono poche rispetto ai precedenti lavori, si è puntato di più sullo stravolgimento ritmico che sulla melodia. Ma Celine in fin dei conti rimane Celine e questo si avverte. Le canzoni migliori sono My love, romaticissima ma non mielosa, Surprise Surprise, molto potente (peccato per quel suono gutturale finale) e rock come anche Fade Away. Molto di impatto è anche Alone. A metà tra il bello è il “non c’entra niente con Celine” sono Eyes on me e Shadow of love. Orecchiabilissima Can’t fight the feelin’. Troppo lente Skies of LA, A song for you e il gospel New Dawn. Ritorna la vecchia Celine in A world to believe in. Belle le delicatezze di I got nothing’ left e di Right next to the right one, una bella cover. Mai in un disco Celine aveva cantata così “sporco” basti ascoltare la cover That’s just a woman in me in cui è a tratti irriconoscibile. Questa è una cosa che piacerà a chi non l’adorava prima e che non influirà sul giudizio che ha di lei chi la segue da anni. A mio parere la Signora ha dato talmente tanto alla musica internazionale che ora può fare davvero quello che vuole, chi la conosce anche nei live lo sa. Non saranno due chitarre in più o urla rauche incise su un disco a farcela apprezzare meglio.
Continuando con Leona Lewis possiamo ben dire che è nata una stella, 22 anni, occhi verdi, pelle bellissima ambrata, voce come non se ne sentivano da tanto. Un’altra figlia di Mariah che però ha il timbro della Aguilera. Nei fraseggi c’è tutta la Carey di Hero e Fantasy ed è forse questo che ha fatto di lei l’artista che ha venduto di più con il disco d’esordio in Gran Bretagna, poco sotto le 400 mila copie in una settimana. Già il natale passato bruciò tutti (Thake that compresi) con la cover di A moment like this di Kelly Clarkson un’altra figliuola (prodiga) di Mariah. L’album, Spirit, è all’altezza degli standard pop statunitensi ma è stato molto criticato per non avere un’anima. C’è però da considerare che è un disco di esordio con troppe idee e poco Leona. Le canzoni saranno si anche facili ma sono curatissime e mai scontate e ognuna di essa contiene abilità vocali della Lewis diverse, come fosse un gioco di ruolo Leona le usa tutte, una alla volta. Qualcuno la chiama “ginnastica vocale” ma, dico io, viva Dio che qualcuno la sa ancora fare! Le canzoni più orecchiabili sono Better in time e The best you never had. Le super ballads, sempre previste in dischi del genere, Homeless e Footprints in the sand. Una menzione anche per Whatever it takes a Yesterday e i suoi ultimi pochi secondi. Nel disco anche la oramai nota Bleeding love a la troppo britannica Angel. Una perla dell’album è sicuramente la grazia associata alla potenza diThe first time ever I saw your face che fu di Roberta Flack e già cover di Stereophonics e Celine Dion. La ragazza si farà, diamole solo del tempo.
In conclusione Alicia Keys che torna con As I am un altro personalissimo disco. Alicia è uno degli ultimi talenti genuini rimasti in circolazione nella black music. Non si smentisce neanche questa volta. Le canzoni sono tutte belle partendo dalla reggaeggiante No one arrivando a Waiting for your love passando per Wreckless love. Alicia quando canta interpreta, è accorata e se ne frega se non suona limpida a volte. L’album è un record stagionale negli States, un superecord se si considera che le cifre di vendita registrate sono da anni ‘90, quando la musica viaggiava sui cd e non nei lettori mp3. Alicia in fondo pare appartenere al passato ma non perché sia “datata” ma solo perché ha una attitudine alla musica d’altri tempi, appartiene a quelli che si scrivevano le canzoni e poi se le cantavano, senza fronzoli.
La sostanza è a zero
Vivamo nell'era dell'immagine bla bla bla... Questo lo so già.
Ogni giorno mi vedo alle prese con articoli zeppi di termini anglofoni che fanno chic e di acronimi ignoti ai più che i giornalisti rampanti infilano nei loro articoli trattanti argomenti stupidi pur di farli diventare attrattivi. Evidentemente questi testi sono rivolti alla fortunata casta dei massmediologhi (che mestiere è?) capaci di interpretare tutti queste abbreviazioni e termini gergali di altrui paesi.
Si sa l'informazione deve correre rapida e l'inglese è la lingua perfetta per il giornalismo, veloce, poco ridondante e frotemente espressiva.
Il problema nasce quando anche sui blog, nei curriculum e ovunque sia prevista una comunicazione scritta si usano a dismisura forme espressive non note e non appartenti alla nostra lingua. Insomma ben venga il termine difficile che uno si deve andare a vedere sul vocabolario... ma perdere 5 minuti di ricerca degli acronimi su google per capire di quello che si sta parlando mi pare eccessivo. La colpa? Tutta delle checche esterofile con troppa autostima, che in madonna vedono la Madonna e che sono posti in alcuni ruoli cruciali della società (perchè "è di moda" che alcuni ruoli siano ricoperti da gay). Che vadano a zappare rompendosi le unghie laccate.
Persino leggere (o meglio interpretare) un curriculum è diventato una impresa ("ci azzecca questo con quello che cerco?"). Mai nessuno che indichi in realtà di cosa si sta parlando, nessuno mai che usi forme classiche o si soffermi a spiegare un concetto non con dovizia ma almeno spendendo una riga.
Lo so, mi sento tanto un vecchietto che la domenica pomeriggio si fa spiegare da Giletti cosa significhi il termine "reality show" ma penso che senza arrivare a quel punto un senso di rispetto verso la nostra bella lingua vada promosso da chi fa scuola. Sono daccordo, l'inglese va studiato ma l'italiano si fa ancora?
La questione credo sia più ampia: dietro questo atteggiamento fatto di puntati e neologismi penso si nasconda una pochezza culturale disarmante. Per non parlare di quella morale.
Prossimamente su questi schermi
Per coloro i quali non seguono il gossip su internet (gente grigia) posto alcune foto catturate sul set del film Sex and the city che si sta girando a New York. In ottemperanza alla mia enorme devozione per questa serie (che sto rivedendo per la terza volta) sono in rete sempre attento alle novità che riguardano la produzione del film, l'abito da sposa della protagonista potrebbe però essere solo una proiezione della stessa in un suo sogno, così come il pancione per Charlotte.
A proposito: in qualche occasione ho detto di
sentirmi un pò Charlotte... e mi ha fatto ridere ascoltarla pronunciare le sue
regole della vita proprio come faccio io, una sua perla "per dimenticare una
storia è necessaria la metà del tempo della sua durata". Insomma il partner di
un mese lo si dimentica in due settimane. E poi le regole del primo appuntamento
come "mostrare la mercanzia senza concedersi"... insomma... sono proprio io...
tranne che per qualche sua inibizione sessuale .
ps: chissà se il titolo del film sarà semplicemente Sex and the city o avrà un sottotitolo o addirittura un titolo completamente diverso. Vabbè ora la smetto, sembro uno di quelli che scrive sui forum del proprio cantante preferito (per la serie "oltre al telefilm io ho una vita!")
Una settimana lunga un week end
Una settimana lunga un week end, o viceversa. Ho trovato il modo per far durare il week end tutta una settimana... volete sapere come?
Organizzate i week end più belli che possiate mai immaginare ed ecco fatto. Vivrete nel ricordo di quei due giorni e mezzo almeno i tre giorni successivi e due giorni prima del week end che verrà vivrete aspettandolo.
Questo è stato un fine settimana di grazia per me e Bubbà... e questo perchè non ci siamo chiesti a vicenda per ore: "che facciamo stasera?"
...si è iniziato venerdi sera, io già stanco sono riuscito arrivare alla villa, ops...la villetta, di Marano per il concerto di Tiromancino. Con Anna Giovanna e Rory ci siamo sorbiti tutto tutto il concerto. Che però nonostante il nome che si portano dietro i Tiromancino non era affatto malaccio. Mi domando: perchè non fanno un disco live? La loro immagine (e soprattutto il loro sound) ne trarrebbe giovamento.
La villa era un bel pò umida ma questo è stato compensato da un chiosco che con pochi euro ci ha sfamato (ma non a bubbà...che si sa...vuole fare la modella!).
Il sabato è stato un giorno di riposo strameritato per il maratoneta della zona flegrea (cioè io). Sveglia alle 13, pranzo poi confezione del regalo al Bubbà. L'onomastico è giovedi prossimo (oggi che scrivo è lunedi 1 ottobre) ma ho pensato che il pensierino è meglio darglielo oggi, cioè sabato. Mi sarei potuto gustare meglio la sua sopresa nel vederlo, in settimana corre tutto così veloce... E' un poster mosaico di dimensioni 60x80, dal vivo sembra un'opera d'arte e in fondo un pò lo è perchè è una immagine composta da tante foto piccoline. Poi sulla via per dove arriveremo gli do l'altro pensierino, il portassigarette marlboro acquistato su ebay... Era ancora pomeriggio quando ci siamo incamminati, direzione Caserta vecchia, ci siamo arrivati però che è buio e di sera è incantevole. Era meno popolata di quanto credessi considerando che era sabato. Li abbiamo cenato in un posticino molto carino e poi abbiamo gironzolato un pò per il minuscolo borgo con una vista notturna mozzafiato. Dopo ciò ci siamo spostati a Caserta centro. Li abbiamo trovato una piazza con un palco con muscia ska e con tanti ragazzi. Sembrava di stare a Napoli, ma Caserta è molto più vivibile: le auto marciano su di una sola fila nonostante la strada sia fatta per tre file. Un gelato (io ho provato l'Happy Hippo) e poi via.
La domenica sveglia già alle 10 e mezza: Marianna ci ha coinvolti nella caccia al tesoro della Nokia. E sia...
La nota dolente della giornata è che inizia Buona Domenica. Per fortuna la sera a casa viene Bubbà che ammira per la prima volta il mio certificato di laurea finalmente appeso al muro (non del bagno!). E' una sera un pò speciale. Ricordo di prendere la videocassette che da anni conservo un pò distrattamente...sono quelle in cui ci sono le registrazioni del mio programma "Choice" che scrivevo e conducevo per TELEFUTURA. Bubbà non l'aveva mai viste quelle puntate. Io stesso non le ricordavo, mentre le vedevo ero un pò emozionato. Avevo solo 19 anni ma Vivaluca già c'era. Oltre a Choice ho rispolverato tutti i miei album di ritagli di giornali feticci e foto dei miei programmi televisivi. Quelli che da bambino realizzavo con scenografie mozzafiato e tutti i miei pupazzetti. Sono sempre stato un genio...non è solo cosa di ora.
Poi giungono i miei e si fa subito "una certa" e Bubbà ci saluta. Domani inizia una nuova settimana... o meglio...si continua questo week end ricordandolo.
La tortaperfetta
Sono state poco più di 24 ore ma sono state stupende.
Certo non è che abbiamo fatto chissà quante cose… abbiamo cucinato, mangiato, cucinato, mangiato e mangiato. Ma d’altronde siamo napoletani.
Tra le foto c’è qualche chicca da conservare negli annali, nei “Libri dei fatti”. Posto anche un po’ di video tra cui quello diventato subito cult in cui Francesco, Giovanna e Roberta mangiano il pollo fritto a notte inoltrata (dopo una cena spaccafegato in compagnia della COSA) incuranti di quello che Anna racconta (non la guardano neanche!!!), guardate il video…
Un particolare ringraziamento a Rory per averci fatto conoscere la perfezione. La sua Sbrisolona è, a giudizio unanime, una torta priva di difetti.
Un abbraccio alla piccola e dolce Anna che ci ha ospitato e alla magnifica Giovanna (sempre simili io e te!). Ragazzi rifacciamo tutto di nuovo appena si può! (sono disposto anche a ripulire cozze una a una a specchio con la retina di metallo!).
Qui una disquisizione vaga a colazione.
Per ovvi motivi di decoro non pubblico tutto il materiale prodotto in quel “meeting di stomachi senza fondo”… alcune capture erano un po’ troppo forti come la direzione di orchestra di Coccobill, la danza di Francesco desnudo in cucina o la Union jack come intimo…
Vi lascio con la collezione dei Cavalieri dello Zodiaco di Anna.
Zao!
OK, but you have to leave the bus!
Prima parte
Eravamo a Camden Town su di un autobus a deposito in attesa che ripartisse, ma l’autista ci ha cacciato senza mezzi termini. Questa frase pronunciata in modo imperativo e cadenzato è rappresentativa dell’attegiamento che i londinesi hanno con chi, anche se in buona fede, non rispetta le piccole regole che da soli si sono dati.
Arrivati tutti (io, Giovanna, Anna e Francesco) il 13 in stazione a piazza Garibaldi puntuali alle 17 e 30 subito si fanno le 18 e 30 e il treno per Roma Termini parte, con lo sprint di chi inizia il viaggio riusciamo a passare due ore a Ciampino in attesa di un autobus per l’aeroporto (sopportando dei Mao Mao pugliesi che pisciano e lottano per strada) e le ore notturne in aeroporto a Ciampino attendendo il check-in e poi l’imbarco. L’attesa è divertente, ascoltiamo il “Racconto” di Giovanna giochiamo a carte, ci cambiamo all’aria aperta (tanto è notte!). Neanche a dirlo sull’aereo si dorme, tanto fuori è nuvolo e non si vede nulla.
Atterriamo a Stansted e dopo un fila imprevista per accedere nel Regno Unito preleviamo i soldi, con nostro stupore scopriamo che il circuito Visa Electron permette di prelevare solo 160 sterline al giorno almeno se si usa la Postepay. Con un ricco autobus Terravision (la migliore soluzione per spostarsi dagli aeroporti alle città di tutta europa) arriviamo a Liverpool Station. Qui inizia la nostra piccola Odissea fatto di pesi da trasportare e metro da prendere.
Il viaggio inizia infatti non nei migliori dei modi con l’incognita di ogni viaggio, cioè l’alloggio, che diventa un serio problema.
Arriviamo in agenzia, London Friends, ci siamo capitati tramite affittolondra.com, ci arriviamo a piedi con i bagagli. Li ci viene detto da una irritante ragazza italiana che non è a disposizione una casa con due doppie pertanto la prima notte dovremmo passarla in un “Signor Ostello” nella terza zona. Subito diciamo che ci va bene (altrimenti…?). Aspettiamo gli ordini per arrivare a Gipsy Hill dove, secondo la zoccola, troveremo vita anche se non sembrerà di stare a Londra per il tanto verde (ma noi siamo venuti a Londra per vedere Londra!).
Riusciamo ad arrivarci a Gipsy Hill, anche se la tizia mezzo uomo allo sportello dei treni ci eroga un biglietto per la terza zona, si ma il biglietto vale solo per la metro mentre noi avevamo chiesto un biglietto per Gipsy Hill che è raggiungibile con una linea diversa dalla metro. Qui ci accorgiamo subito che se non parli inglese, ma non l’inglese che si studia a scuola ma quello che parlano loro tra i denti, fanno finta di non capire e non sono per niente intenzionati a farlo. Un biglietto di un viaggio di sola andata ci costa 4 sterline e mezzo, cioè quasi 7 euro. Ci accorgiamo anche che una sterlina vale si un euro e mezzo ma avere in tasca 10 sterline non è come avere in tasca 15 euro bensì 10 euro visti i prezzi.
Alle 3 p.m. arriviamo a Gipsy Hill e ci accorgiamo che il Signor Ostello di tre piani ha delle stanzette anguste e piuttosto sporchine anche se l’addetta ha sempre una pezza in mano.
Il bagno ovviamente è in comune con gli altri ospiti ma a Giovanna e Anna non spaventa l’idea di adattarsi per una notte. Usciamo e camminiamo su per la collina, scoviamo subito una catena di supermercati diciamo tipo discount (Iceland) e soprattutto i piccoli fast food di pollo fritto. Che lo dico a fare: ci compriamo il pollo fritto e la birra (6 birre Foster’s da quasi mezzo litro per 5 pounds, sono le più economiche ma è acqua e bagnoschiuma e non “salgono”). Facciamo baldoria nel Signor Ostello e nascono i tormentoni del viaggio: My all di Mariah e Mille giorni di te e di me cantata da Giovanna ma sarebbe meglio dire arronzata da Giovanna al “chi” del ritornello.
Ci addormentiamo tardi ma non troppo.
Ci svegliamo che è Ferragosto ma il massimo che Londra si può permettere è un po’ di cielo terso tra tante nuvole che da li a poco l’avrebbero oscurato. Giriamo per la collina e andiamo a prendere un cappuccino al Cafè Nero, una catena tipo Starbucks che si vanta di aver vinto il premio come miglior caffè della britannia…mica pizza e fichi!
Presi i bagagli fuggiamo felici, ci fermiamo a New Cross in culonia dove ci facciamo la travel card Oyster e dove scoviamo un altro supermarket Iceland. Arrivati a Stepney Green cerchiamo la casa, li non troviamo nessuno dell’agenzia come previsto dagli accordi, bensì una donna delle pulizie brasiliana che dopo aver passato una spugnetta in bagno e l’aspirapolvere a terra pensava di aver pulito. La realtà è ben un’altra. La dura e cruda realtà è che la casa di due piani è un tugurio angusto e sporchissimo. Le stanze sono piccole e puzzolenti il bagno e il cesso al piano di sopra sono inagibili, peggio di un bagno pubblico di una stazione non pulito per tre giorni. Tutti sconvolti e un bel po’ arrabbiati scopriamo che oltre ai detergenti mancano cuscini e piumini. Andiamo in agenzia ma invece di sbraitare scegliamo per una politica più accomodante grazie alla quale otteniamo di comprare tutto il necessario per rendere la casa abitabile. Pranziamo al KFC e dopo l’acquisto di 25 pound (37 euro) di candeggina, guanti e saponi vari inizia la ricerca dei piatti di porcellana (perché di plastica non ci andavano mica bene…) e di posate (di metallo ovviamente!). Altri 52 pound spesi. In agenzia otteniamo anche cuscini e piumini e così carichi prendiamo l’autobus per Liverpool street station. Scesi dall’autobus andiamo a prendere la metro ma li un’altra avventura ha inizio. Anna, scesa dall’autobus a telefono, scopre di aver perso la Oyster card e con essa la Carta d’identità. Denunciamo allora alla Polizia lo smarrimento del documento e otteniamo informazioni su come ottenere il foglio di partenza per Anna. Ripresi tutti i bagagli depositati alla reception della Polizia ci dirigiamo alla metro dove Anna si rifà la Oyster card.
Finalmente alla casa sporca. Conosciamo il nostro coinquilino, Antonio, un ragazzo di Roma che studia l’inglese nel mese di agosto qui a Londra.
Mentre Anna e Bubbà iniziano a pulire io e Giovanna andiamo a fare la spesa cercando di scoprire i supermercati della zona. Purtroppo fuori casa ci incamminiamo nel lato sbagliato e camminiamo quasi fino alla City prima di fermarci poi in un semplice supermarket cingalese (o qualcosa del genere): prodotti strani e prezzi gonfiati. Sotto il diluvio e rischiando la morte nell‘attraversamento multiplo della strada (le strisce pedonali sono solo ai semafori e presentano dei marciapiedi in mezzo alle corsie per cui per attraversare bisogna fare uno zig zag strano e aspettare minuti interi due semafori pedonali discordi) arriviamo a casa dove scopriamo che un supermercato fattibile è proprio di fronte casa, la Coop (non la nostra purtroppo), li compriamo la birra e torniamo a casa per la grande pulizia. Dopo due giorni di facchinaggio inizia il lavoro da impresa di pulizia, in quattro per quattro ore puliamo tutto, dalla moquette alle mattonelle, dal fornello agli igienici, dagli elettrodomestici ai mobili. Fiumi di candeggina cancellano la puzza di sporco, la schiuma sulle superfici è quasi bella da vedere e non fastidiosa da eliminare con l’acqua. Mangiamo qualcosa e andiamo a dormire.
Ci svegliamo alle 9, ma ci vogliono tre ore per scendere: finalmente siamo a Londra come turisti. Decidiamo allora di andare al centro, passiamo in Ambasciata. L’ambasciatore non può ricevermi perché non è in città allora andiamo via e decidiamo di andare al British Museum. Passiamo per Oxford street dove Anna fa il primo acquisto (delle pantofole per casa) entriamo in Soho, passiamo per Carnaby Street e poi, cazzeggiando un po’ troppo per i miei gusti, andiamo British. Gli animi sono un po’ annoiati e non ancora troppo divertiti, sono passati tre giorni a Londra e il primo museo lo si visita alle 3.
Dopo un chiarimento commovente io e Bubbà ci giriamo il museo, la parte migliore è sicuramente quella egizia e quella romana. C’è la famosa Stele di Rosetta grazie alla quale sono stati compresi e decifrati i geroglifici egiziani. Poche altre le cose davvero attrattive. Dopo il British Museum ci concediamo un hot-dog cipolloso come pranzo, la fame fa scendere giù nello stomaco anche questi wrustel. Abbiamo ancora voglia di musei, allora con la metro usciamo a Trafalgar square ma alla National Gallery preferiamo il National Museum of Portrait perché ha una chiusura più tarda. I dipinti presentano volti sconosciuti con nomi a noi non noti. Alcune composizioni di Warhol sono le maggiori attrazioni per me.
Usciti verso le 7 dal museo passiamo in Leicester square e guardiamo i negozietti di souvenir (finalmente sono con qualcuno che ama comprarne!) e poi con una sete da pazzi giriamo Piccadilly Circus, finamente respiriamo lo spirito di Londra. Fiumi di gente escono da tutte le strade. I punk e la gente vestita male. L’acqua costa tanto dal Mcdonald, c’è un caffè in una stradina ma è chiuso, solo Starbuck e Mcdonald.
Stanchi decidiamo di andare a casa per poi scendere dopo cena, passiamo prima a New Cross per fare la spesa da Iceland ma sono le 9 ed è chiuso. Una piccola ma costosa spesa la facciamo alla Coop. Dopo cena non scenderemo, la stanchezza ci consiglierà che è meglio riposare. Iniziamo a vedere Barry Lindon, un film in VHS che troviamo in casa, per fortuna è in italiano…
Seconda parte
Oggi abbiamo in programma di andare a vedere il cambio della guardia, è un giorno dispari quindi alle 11 e 30 ci sarà questa tradizione fuori Buckingham Palace. Ci svegliamo alle 8 per scendere alle 10. Alle 10 e 45 siamo al palazzo reale. E’ difficile trovare un posto dove si veda qualcosa ma soprattutto dove vedano qualcosa le ragazze che non sono delle cestiste, diciamo così. Alle 11 e 15 inizia un po’ di movimento nel cortile reale. Fino alle 11 e 45 si sentono fanfare prima lontane poi vicine, ogni tanto passa qualche battaglione sparso, mi viene in mente l’idea che non esista una precisa coreografia ma che sia tutto una caciara che pare ordinata perché fatta da militari. Un bel po’ annoiati soprattutto dai troppi bambini decidiamo che questo rito non fa per noi e ce ne andiamo. Passiamo per Green Park (poteva mai essere blu?) e andiamo a Covent Garden dove ci giriamo il mercatino dopo aver scoperto un negozietto di ciondoli e gioielli di bigiotteria, mangiamo il panino (l’unico preparato da me) poi Bubbà fa la foto nel taxi mentre Anna e Giovanna prendono un caffè da Starbucks. C’è un palco con una folla di bambini e genitori che assistono allo spettacolo. Quando Londra è affollata da il meglio di se. Decidiamo allora di andare al Museo di Scienze Naturali, il sogno infantile di Bubbà. Il palazzo è una cosa stupenda (figurati se ti potevi sedere sul muretto mentre fumi! I bambini però ti possono anche vomitare addosso o puoi ciccare quanto vuoi…ah questi inglesi!), un po’ meno l’esposizione. Gli scheletri sono riproduzioni di plastica e io, un po’ troppo cinico, lo svelo ai ragazzi cantando “Amore di Plastica” cambiando in “è tutto…di plastica!”. Prima di tornare a casa passiamo, senza Bubbà che preferisce riposare, dal nostro Iceland a New cross Gate ma questa volta lo troviamo aperto e facciamo una megaspesa. Ceniamo (friggo tantissimo) poi ci prepariamo e usciamo, andiamo a Soho con l’autobus 25 che passa dinanzi casa. Per la strada siamo fermati da ragazzi che ci invitano ad entrare nei pub; basta dire di no per trovarne uno più avanti che ti dimezza il prezzo di entrata. Ne scegliamo uno a caso ed entriamo. Tanti ragazzi evidentemente alticci parlano tra loro gridando divertiti, le ragazze in mini e tacchi alti zoccoleggiano con i puzzolenti e quasi sempre orrendi ragazzi inglesi, le code di merluzzo, che ti “odorano” vagoni interi di metropolitane. Una cosa bella qui è che quando vedi un ragazzo non sai dire subito, e spesso mai, se è gay o meno. Gli etero sono tutti molto femminili e molto simili nei modi e nell’abbigliamento alle peggiori femminelle napoletane. Però quando bevono sono anche simpatici e socievoli.
A casa alle 3 ci addormentiamo subito.
Il giorno dopo, il 18, ci aspetta la famose Torre di Londra che, si badi bene, non è una torre ma una cittadella medioevale a uso e consumo turistico (biglietto da 16 £, 24 euro!). Non è molto esaltante dentro. Certo ci sono i corvi della leggenda ma non molto di più. L’unica cosa che ci entusiasma sul serio sono le corone reali piene zeppe di brillanti. La parte delle torture non è altro che un angoletto con tre macchine da tortura. Un po’ annoiati dal profondo grigio del cielo mangiamo il panino su di una panchina con vista sul Tamigi e Tower Bridge. Il cielo pare minacciare tempesta. Invece no, allora proviamo questo famoso fish&chips che ci pare buono nonostante fossimo sazi.
Un autobus al volo ci porta alla cattedrale di St. Paul. Dove si è sposata Lady D. Si paga 10 £ per vederla e per salire le 3 gallerie. È vietato fare foto, anche se hai pagato 15 euro per una chiesa poco più che modesta. Salendo più di 450 scalini si arriva fino alla Golden gallery (un balcone esterno sulla sommità della cupola) passando per la Stone Gallery (c’è una ringhiera di pietra che ti vieta la visuale) e per la più bassa e interna Whispering Gallery. Il panorama è alquanto deludente. Spiccano le decine e decine di gru da costruzione e i brutti palazzi vicini. Il Tamigi è grigio e il London Bridge è davvero un blocco di cemento (dopo che è caduto, come dice la canzone, si saranno annoiati di rifarlo per bene forse). Scesi dalle gallerie passiamo alla cripta. Tombe su tombe da scavalcare per l’orrore di Giovanna.
Per rivalutare Londra come città decidiamo di seguire un itinerario della guida della National Geographic che tante soddisfazioni ci ha dato a Parigi. Ma è tutto inutile. Londra dorme e si sveglia solo di notte quando i fiumi di alcol l’attraversano per farla ridere a crepapelle. E allora adattiamoci ai suoi ritmi. Torniamo a casa e ci riposiamo. E’ sabato, stasera ci sarà casino per strada. Dopo cena usciamo, andiamo a Leicester Square, il cicerone è Antonio. Qui c’è una zuffa a destra e un ubriaco svenuto e soccorso a sinistra. Puttanelle in mini ovunque ti spuntano di lato e ti sbattono per l’aria con l’impeto di un orco. Ciò accade anche nella disco dove entriamo, lo Zoo. Anche qui si “tratta” per il costo di ingresso, arriviamo a 7 £. Io prendo un Cosmopolitan che però non sa di mirtillo. Ragazzi strani e di razza mista si struscia in maniera poco chic sulle ragazze. Antonio sparisce poi riappare poco prima che la musica si fermi. Si continua al piano di sotto con musica house. La musica comunque sia qui a Londra è sempre bella, di qualsiasi genere sia (parlo nelle discoteche, in radio si sentono cagate inglesi inaudite…).
Il giorno dopo abbiamo come guest star nel nostro giro Antonio. Destinazione Portobello Road a Notting Hill, è domenica, il mercato c’è il sabato ma ci sono lo stesso bancarelle e negozi aperti che ci soddisfano un bel po’ in termini di souvenir.
Conclusi certi affari ci dirigiamo verso i parchi. Prima pranziamo da KFC, coinvolgendo nella goduria del palato anche Antonio. Passiamo nei Kensinghton Gardens facendo gli scemi per il filmato, abbiamo a che fare con uno scoiattolo vivace e socievole e infine ci ritroviamo a fare gli scemi anche con la statua di Peter Pan. Attraversata la strada ci troviamo in Hyde Park dove troviamo la fontana tributo a Lady Diana Spencer. Da lontiamo gridiamo allo scandalo. Poi ce ne innamoriamo. È un canale circolare di pietra che in alcuni tratti e ripido e turbolento in altri è placido. Come la vita di Diana, e di ognuno di noi. Appena entrati nel prato mi commuovo a questo pensiero. Tutte le risate e il cuore leggero di questi ultimi giorni lasciano lo spazio all’introspezione. La terminazione della fontana è un laghetto calmo e quieto. In fondo lei è stata fortunata a morire in un periodo di serenità anche se poi ha lasciato questo mondo in modo violento e tragico.
Pioviggina e di restare fermi non ci va, è anche molto umido e fa quasi freddo, pensiamo che sarebbe bello vedere i magazzini Harrods che non sono molto lontani. Per arrivarci usiamo un autobus. Ovviamente il centro commerciale di lusso è chiuso e allora ne approfittiamo per girare la zona residenziale del Knightsbridge. Le case sono lussuose come le automobili che girano per queste strade. I giardini sono chiusi, sono accessibili ai soli residenti. Qui abita Valentino Rossi.
Ci allunghiamo fino alla zona dei musei per vedere almeno da fuori la Royal Albert Hall sede dei più importanti concerti di musica pop. Il tempo è inclemente allora, con una furba combinazione di autobus e metro, ce ne andiamo a casa. Compriamo del rhum e delle birre: stasera si fa festa a casa. Cantiamo, balliamo e parliamo fino alle 4 del mattino.
Terza Parte
E’ lunedì ed è il giorno designato per risolvere il caso dello smarrimento del documento di Anna così, ancora rintronati per la nottata, andiamo al consolato italiano. Anche gli italiani qui sono poco accomodanti. Arriviamo alle 2 del pomeriggio e l’orario dell’ufficio è dalle 11 e 30 alle 12 e in maniera secca ci viene detto di ripassare. Passeremo domani mattina io e Anna.
Con noi c’è Antonio che aspetta i suoi che arrivano nel pomeriggio. Questo giorno era dedicato a Westminster: visitiamo allora l’abbazia per 10 £, molto bella, gotica e poco tradizionale. Le vetrate colorate e gli archi a sesto acuto creano suggestione, la tomba di Elisabetta I e di Maria la sanguinaria sono affollate e la volta a ventaglio della cappella è tra le più belle d’Europa. Ovviamente è vietato fare foto, quindi bisogna rubarle, e non importa se hai pagato 15 euro per vedere una chiesa. Persino il trono dell’incoronazione dei Re è esposto, ma è una vecchia poltroncina di legno tutta graffiata.
C’è poi un museo che espone i vestiti delle varie epoche storiche e un chiostro. Abbiamo solo tre ore prima che la National Gallery chiuda. Così usciti da Westminster Abbey corriamo verso Trafalgar Square e ci infiliamo nella pinacoteca nazionale. A me piace molto, a Giovanna non tanto. Ovviamente la zona rinascimentale italiana è la migliore, nell’ultima sono esposti quadri di Renoir e i Girasoli di Van Gogh, che delusione questo quadro, non trasmette nulla.
Alle 6 siamo fuori il museo e siamo pronti per gli
ultimi souvenir: arriviamo a piedi fino a Carnaby Street dove acquisto un
simpatico perizoma con la Union Jack poi a
Piccadilly Circus. Io e Bubbà ci separiamo dalle ragazze: noi proseguiamo per
Soho per comprare delle mutande Aussie Bum (finalmente il jock strap!) e girare
un po’ per il quartiere. Ma non è Le marais… Abbiamo intenzione di uscire
stasera, ma si parla solo di club e saune. Visto e stravisto.
Un colpo di culo ci permette di scovare l’unica cosa divertente nel panorama notturno di Londra. Dopo cena io e Bubbà ci prendiamo una serata per noi e andiamo a Soho in un locale (l’Astoria) in cui è prevista una serata dal titolo “Porn Idol” gestito dall’associazione G-A-Y. Per entrare gratis bisogna avere il flyer e i buttafuori mezzo uomo ci dice dove prenderlo (!). Con un po’ di difficoltà troviamo il quartier generale del G-A-Y dove una manciata di femminelle sfaccimme ci danno i benedetti flyer. Il locale è molto carino anche se un po’ spoglio, ai lati del palco ci sono dei sistemi per l’amplificazione enormi, il box del DJ è una enorme sfera d’acciaio forellato di fronte al palco, il balcone è chiuso, la saletta vicino al balcone è semivuota e ha musica troppo commerciale. Pian piano la pista si riempie e due elementi grotteschi si aggirano per la sala. Uno di questo a piccoli passi si sposta verso di noi proprio mentre il palco si svuota di danzatori. Ci si prepara allo spettacolo: uno spogliarello di ragazzi normali che si sono iscritti al concorso di strip tease. Francesco interrogato dal reclutatore di spogliarellisti ci ha pensato su, poi ha deciso di non partecipare. Il presentatore è simpatico come anche i tre giurati, capisco meno della metà di quello che dicono ma è divertente. L’unica regola è il nudo integrale. E se qualche concorrente è troppo timido si risolve con una veloce abbasata di mutanda. Può sembrare tutto molto triste invece lo spirito goliardico dei giurati che prendevano in giro i concorrenti rendeva tutto simpatico. Alla fine vince con il metodo dell’applausometro un ragazzo di colore etero, praticamente perfetto. Il premio è di 100 £ cash. Una pioggia di palloncini ci arriva in testa, io vinco un portachiavi di Lady D che spaccerò come souvenir a mia mamma e Francesco un poster dei BWO, un gruppo musicale tipo Alcatraz.
Al pensiero della sveglia preferisco andare subito via, prendere il bottino e poi arrivare alla fermata del 25.
Prendere un autobus nella folla non è agevole, neanche di notte. E può sembrare anche pericoloso tra gente alticcia che canta o gente che litiga. Ma non lo è. E’ normale amministrazione qui. Un pazzo grido “Yo! Yo! Yo!” in continuazione, poi cammina in mezzo alla strada e le automobili devono schivarlo. Una si ferma proprio davanti a lui, è della polizia e lui fa l’indifferente, ritorna sul marciapiede, poi viene perquisito. Lo spettacolo finisce quando arriva il nostro autobus. Felici e con i nostri jock strap andiamo a nanna.
Sveglia alle 8 e mezza. Non c’è acqua calda, e neppure il gas, scopriremo che ciò è dovuto a un problema alla ricarica del gas, come per la luce qui il gas viene prepagato e il credito viene scalato man mano con il consumo. Come per i cellulari insomma.
Scendo con Anna e andiamo al Consolato dove scopriamo che bisogna aspettare più di un’ora. Piuttosto che stare al vento e al gelo sotto la pioggia preferiamo tornare a casa prendere i ragazzi e tornare alle 11 e mezza. A casa ovviamente i ragazzi non sono del tutto pronti. Ritornati al Consolato, sempre io e Anna da soli, scopriamo che la coda che Anna deve fare per ottenere il foglio di viaggio può durare anche un’ora e mezza. Inoltre io nel Consolato non posso neanche entrare perché “la sala è piena”, mi tocca aspettare tutto il tempo fuori al freddo con tutti gli altri accompagnatori. Decido di raggiungere Giovanna e Francesco che nel frattempo sono arrivati a Camden Town. Una zona a nord di Londra con un mercatino enorme e molto alternativo. Ma i negozi di souvenir non mancano. Ci sono negozi di accessori e abbigliamento in pelle, di magliette con le scritte divertenti e chioschi fast food. Dopo un gustosissimo caffè (bleah!) attendiamo Anna che sta fuori la metro ma ci fa chiamare dall’Italia per farsi trovare. Giriamo il mega mercatino, Giovanna sfodera la sua comprensione dell’inglese e fa “acchiappanza” con un commesso. Poi ci fermiamo e mangiamo una Jacket potato (io e Bubbà con i fagioli e le ragazze con fagioli e formaggio). Ne diciamo di tutti i colori alla signora del chioschetto, lei capisce che la prendiamo un po’ per i fondelli però poi ringrazia per aver atteso (20 minuti…). Decidiamo di andare via con un autobus e di andare a vedere i magazzini Harrods. Per arrivarci sbagliamo il verso dell’autobus e arriviamo a stazionamento. Li non scendiamo dall’autobus pensando che di li a poco ripartisse. Veniamo cacciati in malo modo dall’autista incazzoso. Gent e merd…e li giù improperi in napoletano contro gli inglesi. Saliti di nuovo su di un autobus raggiungiamo con un giro largo South Kensinghton e infine arriviamo nei magazzini di Al Fayed. Sette piani di opulenza che ospitano tutti i tipi di arabi esistenti al mondo. La versione ricca però. Tutto è superlussuoso e supercaro ma spesso i prodotti sono superbrutti. Si sfiora il kitch più volte, lo si centra in pieno con il reparto arredato in stile egizio, con la statua di cera di Al Fayed e con l’altarino in memoria di Dodi e Diana.
Tornando a casa scendiamo a Whitechapel e cerchiamo il KFC per l’ultima cena che sarà a base di pollo fritto e di…popper: un vasodilatatore usato nel sesso, ma che non funziona. È un eccitante tossico che puzza di candeggina (proviene dalla candeggina infatti) e che all’inizio ti fa arrossire e sentire caldo al viso poi le tempie ti battono. Se ti va bene e continui a sniffare ti vengono 30 secondi di straniamento divertente che però non ha colpito me. A evaporazione del solvente completata ci aspetta la preparazione della valigia.
L’ultimo giorno a Londra è davvero uno strazio. Sveglia alle 8 e mezzo: alle 10 e 15 io e Bubbà siamo in agenzia a portare le chiavi come previsto per avere dietro la cauzione. Ci viene detto che l’agenzia apre alle 10 e mezza e la cauzione l’avremmo avuto alle 11 meno un quarto. Quindi aspettiamo. Poi ci viene detto che se non lasciamo la casa non avremmo avuto dietro la cauzione. E la casa deve essere chiusa da un loro addetto. Quindi io decido di tornare a casa per aiutare le ragazze a uscire con tutti i bagagli. Purtroppo l’addetto non ha con se le chiavi. Quindi se ne va lasciandoci fuori la porta. Ovviamente rientriamo, facciamo altri panini aspettando l’arrivo di Francesco che però non arriva. Quindi decidiamo di andare noi alla fermata del bus che ci porterà all’aeroporto. Così accade, ovviamente Francesco non è alla fermata, ci era venuto incontro all’uscita della metro quando noi già eravamo dove pensavamo lui fosse. I cellulari che non prendevano, lui senza credito e il bus che aspettava di partire. Uno strazio: in extremis Bubbà riesce a imbucare le 16 cartoline che in 4 avevamo scritto. Sull’autobus realizziamo che l’agenzia ci ha rovinato le giornate in cui abbiamo avuto a che fare con lei. La sconsiglio a chiunque, ricordate:affittolondra.com o london friends ma attenzione…c’è anche un altro nome sotto cui si celano… In aeroporto pranziamo poi con non poche difficoltà superiamo i vari varchi e in fila per l’aereo (che ritarda di quasi un’ora) conosciamo Luigi che ci farà compagnia in tutto il viaggio aereo. Arrivati a Roma il caldo asfissiante ci sorprende. Per fortuna le valigie ci sono tutte e un autobus rapido ci porta a Ciampino. Arriviamo a Termini dove passiamo la notte sonnecchiando con gli altri viaggiatori in attesa e poi inquattandoci nel nostro treno due ore e mezza prima della sua partenza. Dormiremo per tutto il viaggio. Io sul treno faccio anche colazione, fumo una sigaretta e mi lavo i denti mentre i bimbi dormono. Arrivati stanchi morti a Piazza Garibaldi ci salutiamo frettolosamente, ognuno ha i propri fatti per la testa.
I can’t hardly wait for another taste of honey
La prova del fuoco è stata superata. Brillantemente direi. Anzi vorrei ancora ...un po’ di miele…
Tutto è partito il 1 Agosto. Presto il treno per Caserta, poi quello comodissimo per Lecce (ma perché i ragazzi nei treni non trovano pace e non si cioncano sulle poltrone!?). Con un po’ di timore (solo mio) per quello che sarà prendiamo il bus che ci porterà al campeggio, al signor campeggio, di Frassanito frazione di Otranto. Beh iniziamo bene, tanto spazio, tanti giovani, il mare a due passi: qui tutto è possibile, anche camminare in mutande. I primi giorni passano così: sveglia presto ma non prestissimo, mare e sole la mattina e al pomeriggio riposo in tenda, il cervello completamente spento, l’unica mia preoccupazione era che costume mettere al mattino o ad ogni cambio.
Niente tempi morti come pensavo, perché in fondo tutto era un tempo morto. Ma qualcosa da fare c’è sempre in campeggio, mettere in ordine, leggere, giocare a carte, parlare con i ragazzi vicini di tenda. Poi le nostre cene: il vascio Zen diventava un ristorante a seduta a terra, birre e patatine sempre presenti e a rotazione pollo e pizza poi insalata, abbiamo mangiato in fondo poco ma perché non avevamo quasi mai fame (i panini portati all’andata sono durati 3 giorni), abbiamo assaggiato specialità locali come il pane alla pizzaiola (di cui mi sono inventato la ricetta) e la puccia (un panino di sesamo ripieno di tutto quello che si vuole).
I dopo cena erano fatti di un whiskey o rhum e pera. Una volta di torta e cappuccino! Una sera abbiamo fatto il bagno di mezzanotte nudi al chiaro di luna e un volta abbiamo partecipato e una festa nel campeggio con il sax che suonava, che sfizio…
Questo fino a domenica 5 agosto, giorno in cui abbiamo visto Otranto. Una visione per me, la prima cosa che ho voluto fare è stata visitare il castello tanto immaginato sin da adolescente nel libro “il Castello di Otranto” di Wallace. Abbiamo continuato il giro per la città vecchia di cui mi sono praticamente innamorato per la inusuale persenza di stile medioevale in una città di mare: Bubbà ha suggerito di trasferirci ad Otranto per gli ultimi due giorni. Così abbiamo fatto. E abbiamo fatto davvero bene, i campeggi si sono affollati nei nostri ultimi due giorni ma anche all’Idrusa abbiamo trovato un buon posto. A Otranto tutto è filato liscio, mare, giri per la città, puccie, hamburger e vini (Primitivo e rosso del Salento) che ci hanno fatto guadagnare una leggera ubriacatura a me il lunedì e una quasi ubriacatura a Bubbà il giorno dopo: che pariamento girare con lo zucchero filato tra la folla ubriachi o comprare costumi e cavigliere scampanellanti un po’ alticci!
L’ultimo giorno abbiamo visto Lecce, ci siamo un po’ stancati ma se non la vedevamo questa volta non l’avremmo vista più…è una città carina (soprattutto per il centro storico pedonale) ma sicuramente non meta dei turisti di tutto il mondo.
La Puglia ha riservato molte sorprese e ci ha fatto capire che il degrado del Sud che conosciamo qui a Napoli forse c’è solo in Campania (la stazione di Caserta alle undici di sera chi non poteva ospitare!).
Torneremo in Salento: forse lato ionico, sempre in campeggio ma più organizzati…
Pendolarismo&Puntualità...Libertà
Il pendolarismo, si sa, impone una condizione di solitudine ed io sono un pendolare. Se a questo aggiungiamo che sono pure uno puntuale (di quelli con cinque minuti di anticipo) si può capire che sono destinato ad una vita infame. O almeno lo ero; dieci anni di spostamenti per studio o lavoro ti insegnano che pensare è controproducente, ci si crea problemi che non esistono e si ingigantiscono quelli minuscoli. La soluzione è abbracciare la croce e leggere un libro, portarsi dietro un lettore mp3 o fare qualsiasi sudoku capiti a tiro.
In una delle ultime pippe da metropolitana ho partorito un altro pensiero, piuttosto ottimista direi. Osservando un ragazzo, evidentemente omosessuale, ho capito quanto sia fortunato ad essere così come sono e cioè libero. Premetto che il giovincello era griffatissimo, non aveva un capo o un accessorio “fuori marchio” (povero cristo non sa che da un punto di vista di produttività cinese era vestito con 3 euro, ed ho esagerato). Probabilmente anche i suoi pensieri erano firmati, ma purtroppo da altri. Ed è proprio grazie a questo mio pregiudizio che ho concluso che sono libero. Non è un controsenso. Insomma, ok, la libertà è uno stato mentale ma non si è liberi del tutto finche è la comunità a categorizzarci e lui con i suoi modi di fare e di apparire si è inserito da solo in uno schema predefinito della società.
Quello di non essere classificabile in modo simile da tutto il mondo lo ritengo un enorme vantaggio (i centomila di Pirandello) e motivo di libertà.
Ho pensato che da qualche anno a questa parte sono libero di fare quello che voglio (compatibilmente con i mezzi a mia disposizione), sono libero di camminare come mi va, di gesticolare (poco) come voglio, di cambiare idea, di non averne affatto, di mostrami felice, di esternare dispiacere o disappunto, a chiunque. Sono capace di volere bene ad una persona anche se il passato non consiglia di farlo. Sono stato libero di dire di amare la Pausini a 18 anni, quando ancora era motivo di scherno.
Sono libero di non apparire mai lo stesso, neanche chi mi conosce bene sa davvero chi sono perché sono libero di cambiare secondo le occasioni e chi mi conosce per la prima volta resta spiazzato dalle mie incongruenze che però mi fanno amare da chi mi ama. Sono libero di portare giacca e cravatta e di ammettere candidamente di avere su un tanga.
Sentirsi liberi non è un vantaggio che possono vantare in molti e non conta chi non si pone il problema della società, io me lo pongo eccome! Penso però che mostrarsi per come si è in realtà sia anche un modo per educarla alle diversità che poi appartengono a tutti i normali.
Chi è libero non ha paura di nulla, se non di non esserlo più.
La diva et moi
Celine è tornata ed è tornata con un album in francese.
E forse è il suo più bell'album in lingua francese. Per una svariata serie di motivi. Innanzitutto l'album è concepito come un progetto costruito attorno alla sua personalità. Personalità oramai matura che le permette di affrontare tante sfide artistiche complicate, basti pensare all'impegno di Las Vegas in questi ultimi anni. D'elles è composto da 13 tracce, composte da musicisti tra i migliori del panorama francofono. Su tutti Jacques Veneruso ed Erick Benzi. Il progetto che regge questo lavoro è invece realizzato sui contenuti che mettono la donna al centro dell'attenzione in quasi tutti i testi, testi che sono stati composti da grandi firme della letteratura francese come Françoise Dorin, Marie Laberge e Janette Bertrand.
Et s’il n’en restait qu’une (je serais celle-là) è stato il primo singolo, l'Immensité è il secondo, ed è scritta dal mio autore francese preferito, Veneruso, capace in ogni sua opera di mettere un tocco pseudo orientale, come anche nella cantabile Le temps qui compte e nella delicatissima Je cherche l’ombre, che crea un atmosfera da mille e una notte. Nella terza traccia A Cause sfodera la voce, l’arrangiamento ricorda un pò la versione che Celine fece di I Drove all night. Si prosegue con la bella ballata Les paradis e con l'omaggio a Maria Callas chiamato La diva in cui per la prima volta la nostra canta con registro lirico in un virtuale duetto con la diva immortale. Seguono la spensierata e orecchiabilissima Femme comme chacune, Si j’étais quelqu’un, che viene nobilita non poco dalla versatilità vocale di Celine, e la delicata (forse troppo) Je ne suis pas celle. La dodicesima e penultima traccia On s’est aimé à cause è chiusa a sandwich da due canzoni di cui non se ne sarebbe sentita affatto la mancanza se non fossero state inserite e cioè Lettre de Gorge Sand à Alfred de Musset in cui Benzi non riesce a creare una musica che entri in testa, per quanto bella, e Berceuse che però forse è una canzone che si adatta più alla Dion che a chiunque altro secondo l’immaginario collettivo che vuole la Dion capace solo di canzoni “a la Streisand”. E’ necessario tornare però su On s’est aimé à cause che è la vera perla dell’album, secondo opinioni unanime è la traccia migliore, una ballad non troppo lenta con un crescendo capace di dare brividi grazie alla espressività vocale di Celine.
Un album complessivamente più che buono che cresce ad ogni ascolto, sicuramente all’altezza del nome della Dion.
Il Giocoliere
Ho ascoltato l'album di Momo (quella de La Fondanela). E' una rivelazione vera e propria! Quello che colpisce di più sono le atmosfere surreali e molto suggestive create dalle musiche ma soprattutto dai testi, a volte nonsense ma al contempo molto profondi ("Quando guerra s'avanza l'Onu va in vacanza a Onolulu" da "la Madonna di Pompei"). Molto ironica tanto da sembrare visionaria ma spassosissima. La Fondanela è un esercizio Zen che è diventato oramai un cult del trash, effettivamente è proprio stupida... In Buon Governo parla di un esecutivo formato da Topolino, Zio Paperone, Superman, Batman e Paperino ( che "ha il dono dell'ubiquità, ora Qui ora Quo, ora Qua"...non è geniale!?). In Embè (già presentata da Cristicchi qualche Sanremo fa) si denuncia l'inutilità e la cattiveria delle opinioni delle persone. In Meno male annuncia di far parte del "club de li potenti", la cima di una struttura gerarchica in cui "cambiare faccia" è d'obbligo, formata da "ricchi snob che si atteggiano ad artisti pop", che gridano "perchè Sanremo è Sanremo" solo perchè l'Arte è morta. Insomma ogni canzone una storia diversa, a volte malinconica ma spesso da ridere. Chi l'ha detto che la musica d'autore non può essere anche divertente?
The write is on the wall
Giù da mia nonna c'è il clou della movida del paese dove vivo (Acerra per chi non lo sapesse). E c'è un nuovo stabile che fa angolo. Molto carino e originale e al pian terreno ci sono due o tre negozi di abbigliamento. Su di un muro limite dello stabile c'è, da qualche tempo, un murales fatto di scritte scomposte, colorate e tutte intrecciate una nell'altra. Sono le scritte lasciate dagli adolescenti che fraquentano il sabato e la domenica sera quel posto. Altrimenti avrei giudicato ciò una vandalata, ma la curiosità che ho visto in chi, chino fino all'impossibile, provava a leggere quelle piccole scritte mi ha fatto capire che quello è un muro "cult" per questi strani esseri. Diventa quindi interessante notare come gli inciuci locali dei giovani ruotino tutti attorno a quel muro. Mi immagino già le discussioni il lunedì a scuola "Sai quella che ha scritto??? Quella zoccola!!!"...ai miei tempi il muro non c'era...anzi, neanche ora per me c'è un muro...eh già..poi che me ne farei!? Già abbiamo Messenger per lanciare frecciatine e messaggi cifrati! Ed è già abbastanza triste usarlo in questo modo...
Se non vi piace il programma, vi prego, non lo guardate!
Io non so se Baudo capisce di musica. So solo che la rispetta. E rispetta gli artisti, tant’è vero che questi si sentono protetti più col Pippone che con chiunque altro direttore artistico.
Abbiamo assistito ad un Sanremo classico è vero. Ma anche molto elegante, frizzante grazie alla Hunziker che quando non si esibiva in playback con il deblender (la “magia discografica” di Simpsoniana memoria) era davvero piacevole.
La musica è piaciuta a tutti quelli che l’hanno ascoltata, tranne a mia nonna ovviamente (non le piace mai niente). Le polemiche persistono a fomentare nonostante l’invecchiamento della manifestazione, e questo vuol dire che è viva. Gli ascolti hanno retto bene, gli ospiti internazionali e nazionali erano tantissimi (Nelly Furtado, Anggun, Mika, Scissor Sister, Joss Stone, Take That, Tiziano Ferro, Gianna Nannini, Lara Fabian finalmente in Italia portata, purtroppo, da Gigi D’Alessio, Elisa e l’elenco continuerebbe per molto). E Penelope Cruz piena di grazia e bellezza (!) non è valsa comunque i 250 mila euro di cachet, meglio farci uno show in RAI e dare lavoro a persone importanti per il nostro Paese quali Nora Amile, Salvatore Angelucci, Sara Tommasi Francesco Arca e quant’altri…artisti importanti che cercano l’affermazione del loro talento.
Eppure resiste la reticenza dei più al festivalone: alla fine della fiera tutta la musica italiana, anche quella considerata “più alta” dalla critica passa per Sanremo. O ci è passata. E quella che non ci è andata sotto sotto ci vuole andare. Partecipazioni eccellenti in questo senso sono i Subsonica, gli Avion Travel, Negrita, Rino Gaetano, Vasco Rossi, Tenco, Velvet e tantissimi altri, l’elenco diventa infinito se poi si considerano anche le partecipazioni in veste di autori. E se i veri Big non ritornano come partecipanti a Sanremo è per evitare lo stress necessario a guadagnare una vetrina di cui non hanno bisogno. Insomma Baglioni, Pausini, Rossi, Zero, Celentano etc. il disco di diamante lo vincono lo stesso. Cristicchi e, e direi soprattutto, Albano no.
La classifica secretata fino all’ultimo è stata deludente non poco. È facile vincere con queste canzoni che toccano questi temi sociali, il vincitore Cristicchi parla di matti, Albano e Mazzocchetti con melassone neanche orecchiabili al secondo e terzo posto, Daniele Silvestri versione furbetto al quarto e Mango al quinto. Solo settima Tosca. Ma ciò che mi stupisce più di tutto è la Ruggiero. Oramai non canta, miagola e ogni tanto caccia un acuto in falsetto che so fare anche io. E tutti a osannarla. Se fosse una Celine Dion qualche disco lo avrebbe venduto nella sua carriera da solista no!?
E se Padua Schioppa e Prodi criticano i compensi dei presentatori…che dire! Pensino ai loro, che pure paga il popolo, siamo in un mercato concorrenziale e se per fare un buon festival è indispensabile la Hunziker non deve stupire che nel mercato libero nel quale il servizio pubblico si trova si paghi un milione di euro per averla.
Insomma ho detto tutto quello che volevo dire…credo. Io da attento osservatore e da appassionato e legato sentimentalmente al Festival continuerò a guardarlo finché la vista me lo permetterà, e a chi non lo vuole guardare dico:
“basta cambiare canale però leggere un giornale o guardare qualcosa di meglio di una telenovela”.
Aimer jusqu'a l'impossible
Tina Arena
Brevemente vi presento una cantante di origine australiana ma di madre italiana (di Vico Equense). Si chiama Tina Arena, è giovane e molto bella, ma soprattutto molto brava, ha una carriera internazionale alle spalle (anche come autrice: ha scritto anche per Laura Pausini; ed è molto famosa un pò ovunque. Alla fine del suo contratto con la Sony ha sottoscritto un contratto con la Columbia francese, infatti già da qualche anno riscuoteva parecchio successo oltralpe con classici come Aller plus haut, Les trois cloches e con canzoni scritte appositamente per lei. Ha poi pubblicato un album interamente francese Un autre universe da cui sono stati estratti tre singoli di grande successo. Soprattutto Aimer jusqu'a l'impossible che le è valso il premio come canzone dell'anno 2006 in Francia. In questo video la vediamo esibirsi all'apertura dello show di premiazione con Angunn e altre cinque giovani cantanti francesi (la maggior parte uscenti da programmi televisivi come Star Academy). Molto simpatici sono i commenti scritti in sovrimpressione, uno definisce Tina come la "Monica Bellucci della canzone” anche se secondo me è quasi meglio. Molto chic, femminile e con un look da femme fatale.
Se vi piace la sua voce, misto di cuore e tecnica, vi consiglio di ascoltare alcune sue canzoni tra le mie preferite (alcune sono cover):
Chains
Heaven help my heart (la mia canzone preferita: c'è il video sotto)
If I was a river
Whistle down the wind
I want to spend my life loving you
Je te retrouve un peu
Aller plus haut
Les trois cloches
Symphonie de l'ame
Never (past tense)
Soul mate number 9
Coeur de pierre
Aimer jusqu'a l'impossible
S'il faut prier
Changer
Christmas time is here, our waiting is done!
E’ natale. Ed è il più bel Natale di sempre. C’è tutto, la maturità, la serenità, ma soprattutto l’amore. C’è anche stata una scoperta. La più importante di tutte, la scoperta della verità. Eh si, proprio questa volta che sono stato sommerso, letteralmente, da regali materiali ho realizzato come tutte le persone che mi sono accanto siano importanti e non perché mi hanno “fatto il regalo” ma perché mi hanno fatto il regalo e continuano ad essermi vicini e a mostrarmi affetto nonostante sia un tipo un po’ distratto, un po’ troppo assente e un po’ troppo particolare (a detta loro!). Queste persone, e sono tante, vedono del buono in me, laddove io stesso credevo non ci fosse null’altro che una secca putrida e puzzolente oramai. Evidentemente non è così.
Tutto ciò mi ha fatto notare anche come sia incredibile come quelle morali sul Natale viste e sentite al cinema e in tv alla fine si siano rivelate, a 26 anni, giuste e non così scontate.
Insomma cosa sarebbero stati tutti questi regali senza tutte le persone che me li hanno donati?
Guardando i regali ho capito che attribuisco loro un valore ancora maggiore perché li associo alle persone che per anni, anche se a fasi alterne, mi sono state vicine ma raggiungono un valore comunque neanche paragonabile a quello raggiunto dalla gioia al pensiero della presenza di queste persone nella mia vita. E’ un pensiero contorto. Rileggete.
E così tra i tanti regali di Amoro quello che mi ha fatto più piacere è sicuramente l’anello, l’oggetto che tutti temono ma che è per me un amuleto, un simbolo.
Un regalo in particolare mi ha “segnato”, l’album fotografico che mi ha regalato Marina; ripercorre la nostra amicizia usando fotografie che catturano momenti chiusi nei cassetti della memoria, che non avrei mai più aperto probabilmente. Mi ha divertito molto anche la scelta della sequenza degli eventi.
Se non avrò la possibilità di farlo in altro modo auguro a tutti voi un gioioso Natale, da passare con le persone a voi più care, quelle che rendono la vita più bella è la cui sola presenza vi riscalda il cuore.
Buon Natale. |
23/12/2006 |
Appunti di viaggio- Parigi
racconto in 3 parti
Parte prima
Parigi è la favola che diventa ancora più bella quando la si vive in due.
Ora sono qui ad ascoltare Dalida in vestaglia e a ricordare il viaggio più romantico che abbia mai fatto (e che, credo, si possa mai fare).
E’ proprio così… in una settimana e più la nostra non è stata un gita turistica di coppia, io già ci sono stato e la conoscevo benino, ho fatto in parte da Cicerone ad Amoro ma tantissime cose le abbiamo scoperte insieme. Le scoperte fatte in due sono stupende…
Ritrovatici all’aeroporto di Napoli, (lui aveva un maglione orrendo, non ho il coraggio di dirglielo, l’ha usato anche al ritorno!) dribblando mio fratello e la sua compagna ci siamo fumati le ultime sigarette prima dell’imbarco, ma abbiamo conosciuto un certo Massimo Columbo, che con imbarazzante ed evidente inettitudine provava a fare una chiamata all’estero, gli abbiamo spiegato come si faceva (bastava leggere le istruzioni sulla carta telefonica) e abbiamo disquisito un po’. Simpatico in fondo, un po’ bambolotto ma simpatico. E’ un atleta, corre e andava a gareggiare. Gli ho fatto una foto, così se vince qualche medaglia possiamo dire di conoscerlo.
Imbarcatici con tempestività (che eufemismo!) ho accaparrato il posto migliore per Amoro che non aveva mai preso l’aereo (finestrino destro con un poco poco di ala e motore) mentre lui dava il suo primo “bu-giù” alle hostess. Il volo di andata è stato un po’ lungo per me che fremevo per arrivare a Parigi, siamo atterrati che si era già fatto buio, ma in meno di un’ora eravamo a Chatelet, il cuore della città, dove avevamo preso casa. Saliti al 4 piano di rue du Quincampoix 99, accedendo col magico codice per aprire il portone dello stabile, abbiamo trovato Marc, il proprietario, visibilmente gaio, molto affabile e gentile.
La casa: più piccola del previsto, ma questo ha i suoi vantaggi: a tavola se ti serve il sale allunghi la mano “in cucina”; se dopo cena vuoi stenderti basta piegarsi su di un fianco e lasciarsi cadere sul letto. Vabbè…
Appena soli non abbiamo fatto ciò che si possa pensare, un altro bisogno fisiologico spingeva, la fame. Approfittando di essere a due passi dal Paradiso vi ho condotto Amoro.
Il KFC: acronimo di Kentucky Fried Chicken è una catena di fast food americana che ha sedi anche in Europa, quasi tutta, non mi sono pervenute apertura qui in Italia. Il KFC di Les Halles di Parigi è quello che, tra tutti quelli che ho visitato, toglie dall’olio bollente il pollo più buono. Eh si, perché il KFC ha solo menù a base di pollo fritto, cosce, petti, ali, speziati o “original”. Credo che li dentro abbia passato alcuni dei momenti più felici della mia vita. E credo che il pollo fritto di questo KFC si piazzi tra le tre cose più buone che abbia mai mangiato (non so, in realtà, le altre due cose quali siano…). Ovviamente in preda all’entusiasmo ci siamo girato tutto il centro attorno alle halles, prima le marais, quartiere ebraico nonchè gay, poi le vie turistiche del quartiere latino e siamo passati per Notre Dame e sotto al bellissimo albero di natale addobbatogli dinanzi. Poi infreddoliti siamo tornati a casa, stanchi e felici. Lascerei uno spazio bianco qui, di Carrisiana memoria, ma potrebbe alludere a momenti infelici (spazio “bianco”), invece concludiamola qui dicendo che a Parigi abbiamo recuperato un po’ degli affari perduti…
La sveglia: eh la sveglia…punto dolente…la questione “mattina”…lui si rotola nel letto, io faccio il caffe e poi sbrigo le faccende sperando si alzi, spesso in ansia per la paura di non riuscire a fare tutte le cose che ci eravamo ripromessi di fare.
Si inizia con la spesa, dopodichè c’è la preparazione della colazione a casa e poi il tour.
La spesa: fatta un giorno si e uno no al supermercato Ed di fronte al Centro Pompidou, il pane dalla Boulangerie sotto casa dove Francesco si spingeva al massimo con le sue bu-giù-esibizioni visto che la panettiera sembrava prendesse in giro dando il buongiorno. A volte ci siamo ridotti anche senza pane e l’abbiamo dovuto comprare nei negozi ad apertura lunga, che però avevano prezzi gonfiatissimi. Una volta erano pure chiusi e mi sono ridotto a fare la scarpetta nel sugo con le patatine (onnipresenti…).
Iniziamo con un giro mattutino nelle Marais, uno tra i quartieri più vecchi di Parigi, dove vi alloggiai due anni fa e dove si trovano bar e librerie con clientele prettamente omosessuali. Qui i gay sono tanti, ma le lesbiche sembrano poche, sono chic pure loro evidentemente. Ma a Parigi tutto è chic, gli uomini sembrano gay e le donne sono tutte dive “a la Chanel”.
Presa la Metro arriviamo a Pigalle e agli “squallidi viali” come li chiama la guida del National Geographics che ci siamo portati dietro. In realtà lo squallido viale è molto meglio di un qualsiasi viale Augusto. Se risulta squallido per un po’ di sexshops… beh io penso facciano colore… Sulla strada verso il Sacro Cuore troviamo anche bancarielli col “gioco delle tre carte” e il Sexdrome, un sexshops di 4 piani con tanto di commessa sexy (che però tanto chic non era!). Io in preda alla fame mangio mentre Amoro prova a telefonare. Non ci riuscirà per tutta la giornata. La sera per pochi secondi sentirà la mamma, ma nei prossimi giorni i collegamenti telefonici saranno più frequenti (e rapidi) per la pace di mammaAmoro, papàAmoro (…e di Porceddu, cioè io).
Arrivati al Sacro Cuore ci giriamo Montmartre da dietro (rispetto al centro città). Un pomeriggio magico, dei carillon suonano L’hymne a l’amour e Une chanson douce (che io conoscevo come Le loup, la biche). Passiamo per piazza Dalida, un altro mito, un busto realistico troneggia il marciapiede, poi per la strada coi due mulini, uno tutto diroccato e l’altro restaurato e che sormonta un ristorante, il “Mulin de la Galette”. Decidiamo insanamente di raggiungere casa a piedi. Scendiamo Montmartre con il torrone bianco artigianale comprato in una patisserie, mi si sono illuminati gli occhi e Amoro l’ha comprato. Tutti felici siamo scesi per la collina attraversando il 9° arrondisment e, all’altezza di piazza Kossuth, abbiamo notato una stradina piena di bar ai quali banconi erano appollaiate tante donnine scosciate e ammiccanti che bevevano champagne. Ma non era vietta la prostituzione in Francia?
Non paghi deviamo per l’Opera e allunghiamo fino a Place Vendome dove affascinati ci fermiamo davanti a Cartier e ai suoi brillocchi. Tanto stanchi ci dirigiamo verso casa…ma… no! Ancora un po’ di forze per vedere il Louvre e la piramide. Scendiamo giù al Virgin e Amoro vede la piramide reverse (quella del libro e del film Il codice Da Vinci…).
A casa cuciniamo. Penne al sugo (pronto) “napoletano” (e quella salvia che c’entra?).
Le cene: di quelle fatte a casa ho un ricordo molto bello, ma soprattutto gratificante. Mi sono visto nei panni di mia mamma che ogni giorno deve far comparire a tavola qualcosa di appetibile a tutti ma qualcosa di diverso dai giorni precedenti. Beh…noi ci siamo ripetuti più volti, ma non siamo massaie perfette.
Continuiamo il giro, questa volta di sera, andiamo prima all’ L Impact, un naked bar, ma l’idea di restare nudi un po’ ci imbarazza anche se la vista di un corpulento barista ci invoglia. Amoro ha vergogna. Passiamo davanti al Le Depot ma è un altro posto di cruising, così decidiamo di girarci Le marais cercando qualcosa di alternativo. Ma niente, a vista solo bar e ristoranti, per quanto carinissimi. Ci infiliamo nell’Amnesya un bar molto, ma molto, gay. Molto costoso e con drink annacquati. Poi a casa.
Parte seconda
Il secondo giorno inizia con la bufera, scopriremo poi di incidenti accaduti in città a causa del fortissimo vento, con i nostri panini e guide andiamo al Museo Carnevalet sulla storia di Parigi, vicino casa, sito in un bel palazzo e gratuito. Giriamo Saint Croix de la Betonne finalmente in un sexshop gay, ovvero tempio del lattice e pelle, troviamo le informazioni di cui necessitiamo per la nostra vita notturna. Dopo aver mangiato il panino ci dirigiamo al museo D’Orsy, un po’ di fila per entrare ma ne vale la pena. Una ex stazione ferroviaria tramutata in un museo che non sfigura col Louvre ne nell’aspetto ne nella sostanza. Usciti alle 18 circa dal museo ci muoviamo verso il ferro di cavallo del Louvre, ma essendo stanchi decidiamo di andare a farci una sauna nei 1400 metri quadrati della Gym Louvre Sauna. Da premettere che nessuno dei due è mai stato in una sauna gay. Tutto molto pulito vero, ma dopo una sala doccia completamente aperta, una sala con delle poltrone e, ovviamente, la sala della sauna c’erano solo cunicoli e stanzette con tv che davano film porno con grossi divani e nicchiette con lettini e specchi alle pareti. Tutto abitato da omoni con addosso solo una microasciugamano blu. È un po’ squallido ma, dopo la sauna, la doccia e tre sigarette, che vuoi fare?? Immaginate un po’ voi… Poi dribblando i malatoni siamo andati via sicuramente più rilassati di quanto lo eravamo al momento dell’ingresso. A casa ci aspettavano i tortellini ripieni di formaggio che ho cucinato con la panna. Buoni.
E’ venerdi mattina, e manteniamo un buon ritmo, non dovremmo scendere tardi. Ma ecco l’incidente. Amoro per farmi una foto, con la sua grazia propria di un elefante, qual è peraltro, rompe una doga del letto. Una rezza di acciaio no eh? E allora diventa Mucciaccia per riparare il letto. Ma in poco tempo ci sbrighiamo. Museo di Picasso la mattina, sempre vicino casa (è tutto vicino…). La Metro ci porta a piazza Etoile-Charles De Gaulle dove Pizzicotta inizia il suo viaggio. Dopo l’Arco di Trionfo ammiriamo gli Champs Elysee. Decidiamo in mezzo a tanta chiccheria di trappaneggiare. Ci mettiamo a mangiare la nostra mezza baguette su una panchina davanti gli atelier di non si chi. Che sfizio. Io davo a mangiare persino ai colombi… Dopo aver visto un po’ ‘sti show room ci dirigiamo verso piazza de la Concorde dove faccio un po’ di foto per il desktop (quelle che prevedono lo spazio per le icone nel cielo). Alle 18 entriamo (gratis) al Louvre e, incredibilmente, ce lo giriamo tutto, che bello! Amoro mi tiene il passo! Ovviamente glissiamo la Mesopotamia e cose del genere. A casa stanchi morti ci cuciniamo una carbonara. A i fornelli stavolta non ci sono io…purtroppo direi…ci saziamo comunque con del buonissimo formaggio (vero Amoro?) e dolciumi vari e, ovviamente, patatine. In tv vedo “Star Academy” il nostro Operazione Trionfo.
La tv: Semplicemente favolosa. Come se fosse fatta soltanto di La7 e Raitre con qualche cosina di ItaliaUno. Da Star Academy 6° edizione (con tantissimi ospiti anche internazionali ogni puntata) a Miss France (una sola puntata che alle 23 e 15 già finiva!) ai programmi di intrattenimento a metà tra Cronache Marziane e Porta a Porta. Molto veloci ma anche a volte molto seri. Le pubblicità poi…mai vista di un detersivo o di un salume. Solo musica e prodotti tecnologici. Siamo capitati nella settimana di Telethon, che aveva lo studio al Trocadero di fronte la Tour Eiffel.
Dopo la tv andiamo, sotto la pioggia e senza ombrello, al Entre deux Eaux, un bar. Un naked Bar. Un minuscolo naked bar. Dopo qualche esitazione iniziale ci denudiamo completamente e, dopo qualche sigaretta e birra, ci ambientiamo, guardiamo, parliamo come se tutto fosse “normale”. In realtà erano tutti “abnormi”, come se ci fosse un requisito fisico all’entrata. Requisito che io non avevo. Dopo essere stati un tantinello coinvolti in una situazione orgiastica ce ne andiamo assistendo ad una rissa tra due Parisienne subito fuori il locale, nei pressi del canale St. Martin.
La mattina di sabato inizia con la spesa e con la preparazione del pranzo al sacco. Amoro si appassiona alla vista dei babbuini che pattinano e slittinano sulle piste ad hoc create davanti all’Hotel de Ville. Passiamo a Notre Dame, la visitiamo dopo una fila velocissima e poi giriamo per il Montparnasse e quartiere latino: chiesa di St. Etienne du Mont, Pantheon, giardini del Lussemburgo, chiesa di San Sulplice e il mercatino natalizio nella piazza. Pranziamo ai bordi di una fontana laterale al palazzo nei giardini del Lussemburgo. Prima che inizio a ghiacciare però ci muoviamo alla volta di Champ de Mart. Finalmente la torre vista da vicino. Due ore, e dico due, di fila per salirci su. Terzo piano, facciamo le foto, riconosciamo un po’ di zone e vediamo il mitico Bois de Boulogne almeno dalla torre. Scendiamo al secondo e al primo con le scalette, ci giriamo un po’ i negozietti lissù e poi scendiamo, sempre per le scale, è più divertente!. Affamatissimi ci dirigiamo verso il Trocadero che sta pieno di fatti di Telethon, nel frattempo ogni ora per dieci minuti la Tour sbrilluccica e ne approfittiamo per fare un po’ di foto a Pizzicotta che è sempre più felice. A casa cucino una specialità. Gnocchi, buonissimi, cotti e passati pure al forno…!!! Dopo cena dobbiamo decidere dove andare ma tra il vino e il cibo ce ne stiamo caldi caldi tutti e due da soli a vedere Miss France e a leggere parlare mangiare e fumare. Forse la serata più bella.
Parte terza
E’ domenica, abbiamo il cibo ma non il pane! Dopo aver girato Chatelet lo troviamo praticamente sotto casa… Il giro inizia al mercato dei fiori sull’ile de la citè, continua per Saint German de Pres fino al Montparnasse, ci giriamo il centro commerciale e passiamo sotto la torre che è davvero brutta. Se non altro perché non è inserita in un sistema di grattacieli, ma campeggia unica in mezzo a un quartiere molto ampio ma “basso”. Troviamo con sorpresa un mercatino dell’usato dove incontriamo Touslesco. Amoro sceglie un po’ di cosuccie da regalare, pranziamo e poi entriamo al cimitero del Montparnasse dove è sepolto, tra gli altri, Ernest Hemingway. Vediamo il posto dove abitava Verlaine con Baudelaire e dove Hemingway passava le giornate. Una bella e calda metro ci porta alla Bastiglia dove cerchiamo quei benedetti mattoni rosa che delimitano la zona dove una volta sorgeva la fortezza. Non li abbiamo trovati. Neanche poi su google earth, ma siamo sicuri che ci sono??? Passiamo per le Marais per arrivare al Paradiso della gola, il KFC. Domattina niente piatti da lavare!!!
Sveglia alle 8 e, udite udite, alle 10 e 30 varchiamo i cancelli di EuroDisney, tutto questo grazie a treni puntuali e rapidi e ad una fila al botteghino da noi inaugurata. Amoro è felice, vede i pupazzi e li vorrebbe abbracciare (!), ma per abbracciarne solo uno bisogna fare la fila! Giriamo il parco col trenino, ma non si vede molto, non lo consiglierei, ma noi abbiamo inaugurato anche la coda per questa attrazione! Ci siamo poi diretti verso la zona spaziale del parco Discoveryland: Star Tour in cui sembra di stare a bordo della Millennium Falcon di Star Wars; lo Space Mountain, la montagna russa più spaventosa che abbia mai fatto, visita al Nautilus, Amoro mi ha stracciato nel gioco di Toys Story (tiro a bersaglio)…ma era una roba elettronica, per questo ha vinto…, poi un giro su Orbitron le navicelle sceme che girano attorno ad un asse...ma non c’è la fila perché pioveva…quindi perché no!? (Amoro dimentica l’ombrello sulla navicella nonostante gli avvisi diffusi in tutte le lingue…) Grazie alla pioggia iniziamo Adventurland con Indiana Jones and the Temple of Peril (due volte e senza fila!), ci giriamo la capanna di Robinson Crusoe e il ventre della terra, l’isola con il teschio e poi il favoloso giro in Pirates of the Carribean, passiamo a Frontierland e passiamo nel ranch, nel fortino e arriviamo alla casa di Phantom Manor, che però non spaventa, ripercorre una storia che non si intuisce e se non la si conosce si rimane basiti. Prendiamo il battello “Marc Twain” poi è il momento di sfruttare il nostro fast-pass per il Big Thunder Mountain by-passando la lunga fila: la giostra più divertente. Sono quasi le 16 e ne approfittiamo per mangiare aspettando la parata di Natale che inizia puntuale con la canzone tormentone “Chante, c’est Noel”. Mentre tutti sono ancora presi inauguriamo da veri statisti una nuova coda, quella dello spettacolo “Honey, I shrunk the audience” e di corsa un nuovo giro sul Big Thunder Mountain. Un po’ stanchi ma in attesa di visitare l’ultima sezione del parco assistiamo alla parata tenutasi sulla fontana (chiusa…) di Central Plaza (a rotond annanz ‘o castell). L’esibizione ha come titolo “Cerimonia delle fiabe incantate” infatti c’è Cenerentola, Belle, Biancaneve e Rosaspina, in arte la bella addormentata, tutte con i rispettivi bei cavalieri. Ma la cosa più bella è sicuramente il castello di Rosaspina tutto illuminato da mille lucine argentee (un po’ come la Tour Eiffel, piace molto lo sbrilluccichio qui a Paris, ecco perché l’adoro). Aspettiamo che aprano la funicella-velvet-rope per correre per primi sul ponte lavatoio ed entrare nel castello di cartongesso (che però riesce a reggerci…) un giro veloce ed entriamo in Fantasyland. Amoro si fa la foto sulla spada incastonata nella roccia nella posa che fu di Re Artù. Finalmente il Carosello di Lancillotto, Amoro ci teneva tanto, un giro su Dumbo, Amoro ci teneva tanto, Mad Hatter’s Cup, Amoro ci teneva tanto, e It’s a Small World, io ci tenevo tanto ma è piaciuto molto anche ad Amoro. Concludiamo con Le avventure di Pinocchio non potendo entrare in Peter Pan ed avendo trovato l’ultima giostra chiusa, Biancaneve. Poco male, le conoscevo, e così come in Pinocchio i giostrai hanno stravolto le storie. Ci dirigiamo a Main Street dov’è in atto l‘ultima parata Fantillusion. Di corsa Amoro compra i souvenir e uscendo dall’ultimo negozio notiamo che non abbiamo più l’ombrello. Luca, detto anche il Segugio, usa l’ultima foto scattata per verificare se prima di entrare nel suddetto negozio Amoro era in possesso dell’oggetto perduto. Così è. L’ombrello si trova alla cassa. Felici e contenti ci facciamo un giro nel complesso di ristoranti all’infuori dei cancelli del parco. Notiamo come dei genitori un po’ stanchi concedono per due euro ogni tre giri ancora del divertimento ai figli su un minuscolo Carosello (che al confronto col megaparco appena chiuso faceva ridere). Un bel treno semivuoto ci porta nelle mura di Parigi, ma un treno stracolmo ci porta a Chatelet. Evviva, finalmente si pappa. Penne al ragù bolognese (pronto), patè di f oie (scusate…non sapevo si preparasse come poi leggerò su internet…) e favolosi fagioli alla (pseudo)messicana. Poi tante cose prima della nanna e poi nanna.
È martedì ed è l’ultimo giorno a Parigi, lo dedichiamo alle cose che non abbiamo ancora visto ma anche ai souvenir non comprati. Scendiamo per fare la spesa ma finiamo per le Marais a comprare souvenir sbrilluccicanti a genitrici e amiche. Dopo la spesa e la preparazione della colazione a sacco facciamo un bel giro per le Halles. Noto come la fontana degli Innocenti, la più vecchia di Parigi, sia contornata da alberi abitati da corvi, in questa piazza vi era infatti secoli fa un cimitero. Incredibile, i corvi conservano memoria di ciò? Camminiamo fino a Chatelet passando per il centro commerciale La Samaritane mezzo chiuso, passiamo per Quai Mar dove mangiamo un pacchetto di patatine per la fame. Ci dirigiamo verso la Sorbona, troviamo un giardinetto dove poi pranziamo. È ancora presto allora propongo di andare al cimitero di Pere Lachaise, il più importante e famoso di Parigi. Visitiamo le tombe di Jim Morrison, Edith Piaf e di tanti altri illustri scomparsi. Ci muoviamo poi alla volta di Montmarte per gli ultimissimi souvenir. Ci rimangono due ticket T della metro. Che si fa? Ma certamente si va a vedere questo fantomatico Bois de Buloigne! Un mega parco in cui serpeggiano tante strade statali ed è sede di un complesso di bei palazzi di vetro progettato da un architetto danese. Rimaniamo però al limite cittadino di tale parco perché le strade iniziano con gruppi di prostitute organizzate. A casa: prepariamo le valigie, cuciniamo e poi mettiamo a posto un po’ la casa.
È giunto mercoledì e la sveglia suona presto. E alle 8 e mezza puntuale arriva Marc con i croissant. Le ultime parole scambiate in lingua straniera non vogliono proprio uscire…è troppo presto per parlare inglese…
In meno di un’ora ci ritroviamo ad Orly, siamo pronti per l’imbarco. Il volo sembra durare pochissimo perché ci addormentiamo sia io che Amoro, ma anche questa volta dall’aereo riesco a vedere e a distinguere nelle sue varie parti Acerra, non riesco però a vedere casa mia perché al finestrino c’era Amoro... All’arrivo c’è mio fratello che mi accompagna a casa, ma solo perchè si trovava a passare. Amoro abita di fronte l’aeroscalo. Ci salutiamo prima di entrare in macchina.
Siamo felici di quello che abbiamo vissuto e siamo coscienti che la nostra favola non finisce all’aeroporto.
Io Canto
Cominciamo col dire che non ? il suo migliore
album. Continuiamo col dire che per questa collezione ha scelto brani tutti
molto famosi, molto melodici e che ha interpretato in modo molto tradizionale e
fedele agli originali. E questo potrebbe essere un punto debole per qualsiasi
"artista", ma per lei non lo ?. E' invece il suo punto di forza: si ? misurata
con brani molto (troppo)noti superando la prova "pianobar" e prestando il suo
naturalissimo talento riuscendo in tutte le canzoni che, peraltro, si avvicinano
molto al suo repertorio.
Fare un album di cover e misurarsi con gli originali ? davvero una operazione
coraggiosa e in pochissimi migliorano il risultato, lei ci riesce la met? delle
volte.
La voce spicca in Cinque giorni, Nei giardini che nessuno sa (da brividi) e in
Strada facendo, ma risulta vellutata e piacevolissima sempre. Molto belli i tre
duetti (Il mio canto libero,Come il sole all'improvviso e Non me lo spiegare con
un Tiziano Ferro sottotono e con Laura Pausini che fa una variazione
interessante dopo l'acuto).
Mi domando solo perch? inserire una Stella gemella (inutile davvero, qui ?
pianobar, tranne che nel finale) e non una Piccolo uomo di Lauzi o una Gocce di
memoria o un classico di Paoli...o niente!
Di Antonacci e Rossi ha scelto due canzoni minori. Peccato, poteva aiutare i due
autori nel mercato mondiale. E questo ? un altro punto: grazie a questo album la
musica leggera italiana sar? portata in Messico come in Giappone, e non solo
nell'est europa dove ? famosa persino Rita Forte.
Le foto del booklet appaiono cupe e danno una immagine della cantante non
corrispondente alla sua personalità. La copertina ricorda inoltre troppo quella
di From the inside.
C'? una nota da fare: per la prima volta pronuncia una "parolaccia": "stronza"
in Spaccacuore.La Laura Nazionale ? una delle poche cantanti che "canta"
davvero, senza mascherarsi tra acuti e toni bassi. IO CANTO. E se non lo fa lei
chi può...?
Reality...che circus
Sono iniziati. E con un anno di ritardo ? arrivata la vera abbuffata.
Finito (un po? in sordina) Unan1mous, il reality che ? un esperimento sociale pi? valido di quello del Grande Fratello, ne sono iniziati due nuovi nuovi: Wild west e La pupa e il secchione. Se il primo si propone come ?il reality dei sentimenti? con partecipanti che hanno alle spalle trascorsi di vita eccezionali ? sembrato un po? monotono (forse per l?effetto ?prima puntata?) il secondo ? un vero e proprio spasso e sembra un concentrato del peggio di un reality montato alla maniera della Gialappa?s band: la sua forza ? proprio questa, ? davvero trash e gioca sull?ignoranza spaventosa delle pupe e sull?inettitudine telegenica e televisiva dei loro partner secchioni (e di Papi). Wild west comunque ha il grande vantaggio dell?ambientazione da film western, della difficolt? della missione e di aver affidato un programma alla bella Parietti, che finalmente si cioncher? in uno studio solo senza doverne girare tre al giorno per fare ospitate.
Nuovo anche il Reality Circus che annovera nel cast la Valeria Marini, Ciccio Graziani e Marina La Rosa e altri vip o semi-vip di buona attrattiva (visti i passati e i caratteri). Uno dei migliori impianti scenici mai visti in tv ed una regia fantasmagorica, quasi cinematografica. Tra una esibizione circense e l'altra non mancheranno zuffe come quelle dei colleghi sull?Isola, quest?anno ancora pi? ricco di sconosciuti?e lo share scende. Ma d?altronde se Mediaset pu? mettere sotto contratto (per un anno e mezzo) la Marini pur di farle fare un reality la casa di produzione dell?Isola non avrebbe potuto chiedere tanto alla Rai. E allora si va da Aceto il famoso (!) fantino ad Alessandra Pierelli, la protagonista della prima reality soap insieme al Costantino che fu di Uomini&Donne. Tutti i reality vip prevedono comunque una dose minima di belloni e bellone (per lo pi? sconosciuti). E a proposito di Uomini&Donne e di belloni vale la pena notare che anche quest?anno il programma si ripropone, e si candida a ?pi? grande miracolo televisivo dell?anno 2006-2007?. Ma la lotta ? dura con Beautiful (e con Papi). Oltre a un paio di persone chiamate ?tronisti? (perch? siedono su di un trono) ve ne sono un paio chiamati consiglieri (perch? consigliano?pare) e un altro, muto alle spalle dei quattro, il cui compito ? quello di dire una frase alla fine della trasmissione. Sembra di guardare il bianconiglio che scappa e gente che festeggia il buon noncompleanno. E? un bel trip, sarebbe piaciuto molto ai figli dei fiori.
Sballi naturali, no alcool, no droghe sintetiche. E non ci sono controindicazioni. Se per? si legge un libro ogni tanto
Nato sotto il segno di giove
Mosso da una spinta creativa che mi tende al limite del visionario, mi trovo in questa società sempre meno a mio agio. Quello che fino a poco fa ritenevo il mio mondo si sta incupendo, ovviamente sono io che sto cambiando prospettiva e angolatura alla vista di quella vita che apparteneva anche a me: il mio lato luminoso prevale da un bel po' su quello oscuro che ha sempre regnato la mia anima. Razionalmente me lo spiego così. Emotivamente provo invece un enorme disagio a vivere in una prigione all'aperto, senza sbarre o limitazioni fisiche alcune.
Il bambino de "Il sesto senso" proferiva "vedo la gente morta", io invece vedo gente che è "morta e non lo sa" e comincio a temere che le persone che mi stanno attorno si stiano spegnendo pure loro, come se inesorabilmente, inevitabilmente, perdessero smalto e vitalità giorno dopo giorno e cerco, come un pazzo, indizi che mi dimostrino questa tesi. In realtà parecchi dei miei compagni di gioco si sono già spenti altri invece erano già spenti prima che li conoscessi.
Sono nato sotto il segno di giove? e questo è il mio problema
Le cose vanno e vengono
E' incredibile pensare a come tutto sia relativo e intrinsecamente superfluo, fa male pensarlo. Malissimo ammetterlo a noi stessi. Persone, animali, oggetti, lavori, quanti ne abbiamo persi? E con quale coraggio dovremmo affrontare la consapevolezza che, nel bene o nel male, ne perderemo altri?
E' assurda la facilità con cui riusciamo ad andare avanti, indisturbati la maggior parte del tempo a venire, come se la perdita non fosse mai avvenuta. Presi come siamo dai nostri importantissimi-stupidissimi affari quotidiani siamo in grado, alla fine è così, di scacciare il chiodo con un altro o comunque essere in grado di prendere involontariamente le distanze da avvenimenti che ci hanno fatto soffrire o, addirittura, devastato. Eppure non siamo dei mostri, io non mi ritengo tale.
E' questa la vita? Un infinito ciclo di gioie e sofferenze?
Era solo una gatta. Ma mi mancherà. |
12/3/2006 |
E' inutile
E' inutile sperare di sedersi in un autobus al centro. Per non parlare poi del vomero... Gli anziani prima che si aprano le porte ti puntano con lo sguardo da fuori la vettura... poi si avvicinano e, come previsto da un tacito accordo, bisogna alzarsi senza fiatare. e non importa quanto tu sia stanco, quanto sia imperlata la tua fronte, quanto ti faccia male il ginocchio o la caviglia o la pancia ne quanto tu sia carico di borse e zaini. E' la legge.
Meglio Celine o Mina?
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![]() |
Celine |
Mina |
Siate obiettivi, non sciovinisti...
Meglio Celine o Mina? | ||||||
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Non è vero
E voi sarete il pretesto per approfondire un piccolo problema personale di filosofia su come trarre giovamento dal non piacere agli altri come in fondo ci si aspetta che sia.
Per esempio non è vero che poi mi dilungo spesso su un solo argomento...Per esempio non è vero che poi mi dilungo spesso su un solo argomento...Per esempio non è vero che poi mi dilungo spesso su un solo argomento...
Per esempio non è vero che poi mi dilungo spesso su un solo argomento...Per esempio non è vero che poi mi dilungo spesso su un solo argomento...
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Marina-na chiedeva aiuto
E' stata scelta la foto di marina... è questa
ps: il fotografo sono io
Ma che ca**o!
Turbinii. I pensieri vanno e vengono. Tutto in una notte. Gioia, dolore, speranza, disincanto. Alla fine la realizzazione e lo sconforto. Per quanto possa fare e disfare la situazione è questa: ho dato, dato, e dato ancora, senza riserve, per poi cosa ritrovarmi tra le mani? Un pungo di mosche... Tutta la mia vita sembra essere servita a niente. Nessun legame strettamente sincero a 25 anni. Vittimismo o semplice realismo? ...duro realismo?
Cambiare. Cambiare ancora, diventare sempre più uguale agli "altri". Più ti adegui più sei apprezzato. L'ho notato in quest'ultimo anno, mi sono messo in gioco, ho donato me stesso al mondo per capire. Come se avessi operato una sorta di esperimento sociologico. Risultati? Sono cambiato molto, sono sicuramente peggiorato se la vediamo dal punto di vista introspettivo, ma ho accumulato tante esperienze da capire che l'introspezione da sola non serve se poi non la si applica alla vita vissuta.
Un amico è così
Quante volte ci siamo ricreduti su amici? Quanti ne abbiamo persi? E quanti invece ci siamo ritrovati senza aspettarcelo?
Non è per niente facile per scrivere il manuale del buon amico, qualora lo fosse basterebbe magari essere armati di un po' di pazienza e aspettare di diventare le persone più popolari della città. Essere amico, ma soprattutto farsi dei buoni amici è difficile, e a meno che non ci venga naturale e non sia nella nostra indole.
Avere un amico per me significa soprattutto sapere che quella persona c'è. Non c'è la necessità di vedersi per forza se ognuno "ha i suoi guai". Spesso però resto deluso da piccoli gesti inaspettati o da disattenzioni che mi buttano davvero giù. Allora ogni volta penso che stavo cominciando a volare troppo verso il sole. Ma tra amici non dovrebbero esserci limitazioni o gesti pensati. O no?
Casetta
E che fatica che ci è costata... ci siamo ingegnati in tutti i modi possibili... dalla costruzioni di mobili alle decorazioni, dall'ideazioni alle...pulizie...è da maggio... ma finalmente è finita. Venitela a vedere e usufruitene se ne avete bisogno... vi metterò in contatto col magnifico proprietario, anzi il brillante proprietario. Qui ci sono alcune foto che ritraggono tra l'altro la magnifica parete e la parete attrezzata luminosa... i tappeti assemblati a mano i quadri "europei", oggettistica originale e illuminazione contemporanea. Fatemi sapere che ne pensate, magari lasciando un veloce commento.
Un anno fa a Parigi
Incredibile, è passato già un anno dal mitico viaggio a Parigi, nella sezione foto ho aggiunto un cartella relativa a quel soggiorno da favola. La città più bella che abbia mai visto. Perchè ampia, romantica, glamour insomma così "francese" Poi vi capitai insieme a due persone fantastiche (che saluto) e in un periodo stupendo come questo di Ognissanti. Serate fantastiche, l'aria pungente preannunciava l'inverno e il periodo natalizio e tutti coloro i quali attraversavano la Senna erano chiusi stretti stretti nelle loro giacche e paltò. Nella piazzetta accanto a rue de Rivoli dove alloggiavamo la sera venivano ad esercitarsi i giocolieri da strada (foto a lato) prima di andare ad esibirsi a Notre Dame, che è poco distante. E noi cenavamo sulle calde mattonelle del pavimento dietro al tipico finestrone parigino con questo spettacolo di luci danzanti. I locali erano zeppi ovunque da Montmartre fino al quartiere latino, ma il quartiere più chic era il nostro, il 4° arrondisment, le marais, sito tra la bastiglia e il Louvre. E che nostalgia il viale dei campi elisi, paradiso per definizione, un paradiso arricchito da show rooms di produttori di automobili e dei sarti pi? famosi del mondo e dal Virgin Megastore che insieme alla fnac, mi fornì di tutto il necessario per ricordare meglio la nazione: la discografia di Lara Fabian e di Tina Arena a metà prezzo e i dvd dei Dieux (du stade ovviamente?!)
11/2005
Nudo
E'
incredibile come si possa essere giudicati per un foto pubblicata su di un sito.
Un nudo di schiena. Niente di più. Ed è strano come notare che il senso del
pudore non è mai comune ma quasi sempre soggettivo.
"Non sei te", "Dai l'impressione di essere una persona che non sei", "Non ti fai
una buona pubblicità", "E' volgare".
Ammazza, tutti giudici, tutti immolati a difendere una morigeratezza mai sentita
ne tantomeno esibita. Sono un bravo ragazzo, si. Ma c'è molto di più. O molto di
meno.
Ognuno pensi ciò che vuole. Non si è detto che ognuno è tanto più perfetto
quanto più assomiglia all'idea che ha di se stesso? Embè, io sono sulla via
della perfezione allora.
...E buonanotte.
The emancipation of Mimi
Seguendo gli sviluppi della carriera di Mariah Carey è stato un vero piacere vedere come alla crescita come compositrice avvertita in Glitter e Charmbracelet sia stata accostata la volontà di dimostrare di nuovo al mondo la sua caratteristica di interprete unica nello stile e nella tecnica (desiderio mostrato a inizi carriera e, in maniera più evidente, in Daydream e Music Box). Arrangiamenti vocali perfetti li dove era possibile attuarli (We belong together, Mine again, Stay the night, Your girl, I wish you kenw, Fly like a bird). Ma proprio dove la voce "brilla" di meno la fa da padrone il ritmo e il groove accattivante (To the floor, Say something, Get your number), cosa che ricorda come Mariah abbia abbandonato per un po' la voglia di cantare "a suo modo" per favorire lo "stile" adottato nei vari pezzi (i sound anni 80 in Glitter e quelli da night club in Charmbracelet). Joy ride sembra un perfetto proseguimento del lavoro dell'album precedente, mentre We belong together ricorda un po' Underneath the stars, poco male. Say something echeggia un po' il ritmo strano di Loverboy, elegante fin troppo e senza brio l'arrangiamento di Circles, anche il testo risulta troppo "povera me" (Mariah you can make it through the rain!). Degne di ammirazione sono molte come It's like that e We belong together, i primi due singoli, Stay the night, orecchiabile e spensierata, Your girl, che ricorda i pezzi della Franklin anni 60, One and only, bella musica e con una struttura degna delle tracce di Butterfly, Fly like a bird, senza parole. Un album questo completo nei generi, peraltro perfettamente miscelati grazie ad una scaletta evidentemente pensata con cura. Come in Butterfly molte canzoni presentano campionamenti di pezzi del passato recente della musica americana. Una novità rappresenta la mancanza della inevitabile spanish ballad (come My all, After tonight, I only wanted). E a dirla tutta mi mancano le collaborazioni di Mimi con Walter Afanasieff. Mentre ringrazio personalmente Mariah Carey di aver evitato di incontrare nell'ultimo anno Jamies Harris III e Terry Lewis responsabili della sua canzone peggiore in assoluto Never too far. La produzione esecutiva di Antonio "LA" Reid (già produttore di dive come la Houston e la Braxton) spinge di nuovo Mariah nei circuiti delle radio e della TV musicali. Per non parlare della forse eccessiva patinatura delle foto a corredo (meglio quella del retro in cui almeno la si riconosce, e lei o Beyoncè in copertina?) Comunque parlare così sommariamente delle tracce non rende l'idea di come il lavoro completo regali musica coinvolgente e per tutti i gusti grazie anche all'arte del gotha della musica americana presente (viva Dana Jon Chappelle!) e di cui Mariah fa parte. Artigiani della musica che creano cori sempre perfetti e suoni mai fuori luogo. Insomma la voce è tornata padrona ma è supportata da uno stile personale e costruito nel tempo grazie anche ad alcuni errori commessi. Non si suole dire infatti che sbagliando si impara?
Per le cose che non dici
Per tutto quello che hai
dentro e che tieni chiuso in te.
Per le volte che vorresti dire "ti voglio bene", per le volte che non riesci a
dire "mi manchi".
Peggio è quando riesci a convincerti che non c'è nulla e che non vuoi provare e
non vuoi dire nulla.
Per le volte che vuoi gridare il bisogno di qualcuno accanto e ti accorgi che
non sei capace a trattenere nessuno.
Per le volte che elemosini uno sguardo di approvazione e ti accorgi che stai
solo buttando via giornate intere.
Per la consapevolezza che la solitudine che ti circonda è dovuta a te.
Per la paura di non apparire quello che sei davvero.
E vorresti urlare.
E poi stare male, per le cose che non dici.
A nessuno importa quando cadono giù le lacrime del pagliaccio.
Sex And The City
Ieri sera ho terminato di vedere la sesta e ultima serie di Sex And The City. Ho pianto come una femminuccia. Finisce per me un'era. Non un telefilm, di più. Una visione ragionata dei rapporti sociali condita dalla magnificenza di New York.
Una lezione di stile di vita americano, ma di quello chic. E di stili in generale: mai in un telefilm i personaggi hanno brillato cos? sullo schermo. Vestiti, acconciature, tutto perfetto.
Con la conclusione del telefilm le Glitterate con ai piedi i sandali di Manolo Blahnik hanno lasciato un vuoto nelle mie giornate.
Grazie Carrie, Samantha, Miranda e Charlotte
Comunicato stampa: Le mie scuse
Volevo scusarmi con tutti i miei fan per l'accaduto di questi giorni. Volevo innanzitutto scusarmi perchè so di non aver dato un buon esempio a tutti coloro che da anni mi seguono e verso cui posseggo grosse responsabilità. E' un periodo difficile della mia vita, e nei periodi difficili si compiono spesso sciocchezze. Qualcuno del mio staff mi ha tradito, ancora non so con precisione chi, ma la mia casa discografica ha promesso che il colpevole la pagherà. Il filmato diffuso peraltro non ? stato girato nella mia casa di long island bensì nello studio di registrazione di new york. Per quanto possa servire prometto solennemente in questo pubblico annuncio che non avrò più comportamenti del genere, non indosserò più i sandali con la scusa del caldo, lo so che si portano solo a riva di mare e nei posti di villeggiatura. Ancora scuse.
Luca Zuccaro
Era la festa di San gennaro
...quanta folla per la via...
Ero piccolo piccolo quando mammà e papà mi portavano a via Duomo per la festa di San Gennaro... Immancabilmente ci si ritirava a casa con il pulcino... ricordate? quelli che vendevano (e... ahimè vendono) durante le feste. A volte erano colorati. Quelli poi che per una settimana piangevano (pigolavano) nella vostra vasca da bagno. Prima che morissero o che vostra mamma a malincuore desse via.
Quante feste di San Gennaro... e quanti pulcini...